Quando gioca la Lazio non vado mai su Fb. E non controllo mai le notifiche di Whatsapp. Anzi, spesso silenzio le chat “laziali” per isolarmi e concentrarmi solo sulla partita. Mercoledì, pero, no. Non ce l’ho fatta. Allibito per quanto stava accadendo al Franchi ho cominciato a cercare conforto, nemmeno fossi Tiziano Ferro abbracciato a Carmen Consoli, interagendo con i miei amici Laziali, con i miei fratelli, con il gruppo della Tevere. E lo schifo era talmente dilagante che in molti, sottoscritto compreso, al goal di Caceres non hanno nemmeno esultato. Perché quello che stava accadendo a Firenze, teatro mai banale ed equamente ospitante di imprese epiche e beffe colossali, stava andando oltre ogni più fervida e complottistica previsione. Soprattutto perché la ferita apertasi nella partita d’andata non si era minimamente rimarginata. Anzi. Era stata malamente lacerata da altri episodi di altre partite con altri arbitri. Un modo di operare chirurgico da far invidia a Sir William Gull, il medico inglese principale indiziato per i delitti di Jack lo Squartatore. Perché quando sei in malafede e sai dove intervenire, è facile trasformare una semplice operazione in un vilipendio.
Il problema è che gli arbitri hanno sbagliato obiettivo. Perché la Lazio non è un cadavere. E perché si sono messi contro la squadra e la tifoseria più stronze della Serie A. Perché mai come quest’anno, la Lazio è una squadra-tifosa e i Laziali sono una tifoseria-squadra. Entrambe fuse in una sorta di connubio calcistico che toglie il fiato e rinasce continuamente dalle ceneri dove vogliono spedirci.
Perché solo una squadra che ragiona come una tifoseria sarebbe in grado di ribaltare una partita come quella di Firenze.
Perché solo una squadra che ha dentro di sé un cuore Laziale può essere in grado di restare agganciata al terzo posto nonostante tutte le nefandezze subite quest’anno.
E anche se ogni tanto cade, come è successo a Salisburgo, poco importa. Anche se fa male. Perché solo chi striscia, non cade mai. Solo chi non fa, non sbaglia.
E questa Lazio di cose ne fa tante. Molte sono belle. Qualcuna meno. Altre sono indimenticabili. Come la vittoria di Firenze, per esempio.
Perché quando tra qualche anno, vostro nipote vi chiederà perché siete della Lazio, voi ve lo metterete sulle ginocchia, gli legherete intorno al collo la sciarpetta, gli accarezzerete i capelli, lo guarderete negli occhi e gli direte:
“Ora nonno ti racconta una storia…era un mercoledì di aprile, l’anno era il 2018…e giocavamo a Firenze…”
E lui capirà.