La prima volta che vidi Paul Gascoigne avevo quattordici anni e stavo nell’aula di reparti dell’ITIS. E anziché limare un pezzo di metallo, sfogliavo di nascosto Zzap, mitica rivista di videogiochi della mia generazione. Il suo faccione biondo e sorridente mi ammiccava dalla pubblicità di “Gazza’s Super Soccer“. Il suo nome completo e a me sconosciuto era rappresentato sotto forma di autografo. Quasi illeggibile.
Conquistato dalla simpatia che trasmetteva la foto e sempre a caccia di nuovi giochi di calcio per il mio Commodore64 a cui immolare i pomeriggi adolescenziali, interpellai l’esperto di calcio estero della mia classe, tale Cristian Saragoni. “Ah Cri’, ma chi è ‘sto Gazza?” “Si chiama Paul Gascoigne, gioca nel Tottenham…” “È forte?” “Sì, ed è pure mezzo matto…” Forte e pure mezzo matto. Tenni là la considerazione del buon Saragoni e la sovrapposi a quello che vidi pochi mesi dopo. Quando l’empatia diventò colpo di fulmine.
Le notti magiche di Italia ’90. Un’Inghilterra sensazionale. Ed un giocatore con la maglia 19 che esplose in tutto il suo talento e la sua potenza, trascinando la sua squadra fino alla semifinale contro la Germania Ovest. Ricordo il cartellino giallo che l’arbitro gli sventolò sotto gli occhi e che gli avrebbe impedito di giocare la successiva Finale. E ricordo le lacrime. Le lacrime di chi dietro quell’istrionismo e quella classe, mal celava una fragilità che lo avrebbe accompagnato per il resto della carriera. E della vita soprattutto. Continuai perciò a seguire Gazza e il suo Tottenham con interesse e simpatia, sfruttando i potenti mezzi dell’epoca (Telemontecarlo e il Televideo su tutti) fino a quando una notizia nata come rumor prima e come trattativa poi arrivò a sconvolgere i miei pomeriggi primaverili di sedicenne tutto acne e Subbuteo: la mia Lazio voleva Paul Gascoigne.
Non potevo crederci. La Lazio era da poco ritornata in Serie A al termine di una decade piena di difficoltà. E Paul Gascoigne era il pezzo pregiato del Calcio Internazionale. Era un matrimonio impossibile, pensavo. “Ma te pare che…” E invece no. Dopo una trattativa infinita, in cui imparai a memoria i nomi di tutti i dirigenti del Tottenham, Paul Gascoigne divenne un giocatore biancoazzurro. Paul “Gazza” Gascoigne era un giocatore della Lazio. La mia Lazio. Appresi dell’ufficialità grazie all’Ultima Ora di Televideo. E mi emozionai.
Paul Gascoigne sarebbe stato il primo tassello di una Lazio che sognava di diventare grande. Mancavano poche settimane e poi lo avrei finalmente abbracciato e fatto mio. E invece no. Il 18 maggio 1991, mentre la Lazio perdeva 2 a 0 a Milano contro l’Inter, Gazza stava per scendere in campo per l’ultima volta con la maglia del Tottenham. Contro il Nottingham Forest, a Wembley. Finale di FA Cup. Ero a casa del mio amico Daniele quel pomeriggio, quando “Tutto il calcio minuto per minuto”, sottofondo alle nostre partite al computer, annunciò l’infortunio di Gazza. Rimasi impietrito. Si parlava di legamento crociato. Si parlava di un anno di stop. UN-ANNO-DI-STOP. La Lazio decide di aspettarlo e io con lei. E il poster in cui lui è vestito da cowboy che il Corriere dello Sport regala ai suoi lettori diventa un feticcio nella mia cameretta.
Passano i mesi e in un mercoledì di fine settembre del 1992, vestito a festa, sotto il classico diluvio romano che sancisce la fine dell’estate, mi ritrovo in Distinti Nord, con tanto di macchinetta fotografica, insieme a mio fratello, per festeggiare il suo ritorno al calcio giocato proprio contro il suo Tottenham. E’ Roma ma sembra Londra. E allora a Gazza bastano dieci minuti per mettere il pallone alle spalle di Walker, sfruttando un comodo assist di Thomas Doll. “Incredibile!! Proprio lui!!!” ripeterà cento volte Sandro Piccinini, ossia ogni volta che farò rewind per rivedere la registrazione della partita. E quattro giorni dopo, arriva anche l’esordio in Serie A. Contro il Genoa. E io sono là. E sono là anche contro il Parma, quando la forma fisica è migliore, lui è più sciolto. E contribuisce alla vittoria per 5-2. E sarò lì ogni volta. Ogni domenica. Inseguendo una Passione senza fine.
Il colpo di fulmine, per una proprietà transitiva che non conosce regole, si trasforma così in amore puro. Per il primo bacio, però, devo attendere ancora un po’. Come in tutti gli amori sofferti. E’ una domenica di fine novembre. C’è il Derby. In Curva Sud, i romanisti espongono uno stendardo con su disegnata una carrozzella da invalido e la scritta “It’s ready for you, Gazza”. E Gazza si fa trovare pronto, a pochi minuti dalla fine, su una punizione scaraventata in area da Signori. Il contrasto biondo con Silvano Benedetti premia il nostro idolo. Il colpo di testa è perfetto e finisce alle spalle di Zinetti. Uno pari. E corsa senza direzione che termina sotto la Nord impazzita di gioia. Grazie, Gazza, Grazie. Il poster di quel goal, pubblicato da Lazialità va a fare compagnia a tutti gli altri, sulla parete della mia cameretta.
Passano gli anni, io mi diplomo e parto militare. In quelle notti venete e senz’alba, comincio a scrivere. Tanto. Riempio blocchi e fogli. Invento storie. E poi le chiudo nel cassetto. Non c’è Facebook che mi dà un riscontro immediato con i like. E quel cassetto è lo scudo della mia timidezza. Di cui non ho ancora la chiave. E dentro quel cassetto, tra i tanti, c’è un racconto dedicato proprio a Paul Gascoigne. L’amore calcistico della mia adolescenza. Nel 1999, la nostra cagnolina partorisce. E’ maschio. Sono indeciso su due nomi. Cholo o Gazza. Ma l’amore calcistico di una vita ha la meglio sull’infatuazione del momento. E Gazza cresce con noi, compagno fedele, sbarazzino e affettuoso. Arriviamo al 2001, il Guerin Sportivo, a gennaio, pubblica un inserto in cui scrittori e giornalisti raccontano il proprio mito calcistico. Quell’inserto si chiama “Io e Lui”. E io ho in Paul Gascoigne il mio “Lui” calcistico. E allora, prendo il coraggio a due mani. Apro il cassetto. E attraverso la mia mail, gazza4ever@yahoo.it, invio al Direttore del Guerino di allora, Ivan Zazzaroni, il mio racconto su di Lui, “Parliamone, Paul”. Lo mando così, senza aspettarmi nulla. Quando però, due settimane dopo, lo vedo pubblicato in seconda e terza pagina nella Posta del Direttore, le mani mi tremano e gli occhi si bagnano. Il commento che lo accompagna è il seguente: “L’ho pubblicato, caro Alessandro, perché non è un “Io e Lui”. E’ qualcosa di più.” Ed è una di quelle frasi che non scorderò mai.
Come il primo “Ti amo”, per intenderci. Sono entrato da poco in una grande multinazionale. E’ il mio primo lavoro serio e ufficiale. Ho venticinque anni e tanto entusiasmo. Un mio collega, romanista ma amante del Calcio come me, compra il Guerino dove c’è il mio articolo e lo porta in negozio. Quell’articolo finisce nelle mani del mio capoarea di allora che rimane colpita da ciò che avevo scritto e, sfruttando una condivisione ante litteram, molto prima di Facebook, lo ripubblica su un bollettino aziendale che arriva in tutti i negozi dell’azienda per cui lavoravo. Non può fare copia e incolla. Lo ricopia a mano. Parola per parola. Da quel momento, per i miei colleghi di tutta Italia, divento “quello che ha scritto quell’articolo meraviglioso su Gascoigne”, divento quello con cui parlare di Calcio in modo passionale e romantico, e divento un po’, lo ammetto, il prediletto del mio capo. Sono bravo in quello che faccio. Sono un creativo.
Vado a duemila. Ma quell’articolo su Gazza mi dà quella spinta in più. E’ un po’ il Deus ex Machina della mia carriera. Mi vengono assegnate sempre più responsabilità. Compiti in cui oltre all’ingegno bisogna metterci il cuore e un po’ di creatività. Io rispondo presente e cresco. Vengo promosso Manager qualche mese dopo. La mai carriera prende il volo. Grazie a me ma anche un po’ a Paul Gascoigne. Nel 2010, Gazza, il mio cagnolino, muore. Lasciando i segni delle unghie sullo stipite di legno della porta di casa e soprattutto un vuoto che solo chi ha avuto cani, può immaginare. E che non verrà più rimpiazzato da nessuno. Tanto affetto. Ma anche tanto, troppo, dolore.
Nel 2012, dopo tanti anni, Paul Gascoigne torna finalmente all’Olimpico invitato dalla Lazio. La sua Lazio gioca contro il suo Tottenham. Un buon motivo per andare incontro al passato a braccia aperte. Il fuoriclasse, però, ha lasciato il posto all’alcolizzato. Il clown si è tolto la maschera ed è rimasto solo un uomo di quarantacinque anni prigioniero dei suoi demoni e dei suoi vizi. Ma la gente Laziale lo ama ancora. E va allo Stadio, quella sera, per dimostrargli quanto è stato importante, quanto gli ha voluto e gli vuole ancora bene. Perché il tempo passa, ma l’Amore, quello vero, resta. E io sono di nuovo lì. Come tutti. Ma forse, un po’ di più degli altri. In Tribuna Tevere, il mio Nirvana da tifoso.
Con addosso la maglia dedicata a lui e lo sguardo di chi non vede l’ora di commuoversi di fronte a quell’uomo così strano e fragile. Così incredibilmente autodistruttivo. Un uomo che avrebbe potuto avere il Mondo ai suoi piedi e che invece da quel mondo si è fatto schiacciare. La sua passerella sotto la Nord, con gli occhiali finti, è qualcosa di struggente e definitivo. E’ il posto in cui il presente ritrova il passato. Il momento in cui un uomo allo sbando capisce quanto amore c’è. Ancora. Intorno a lui. “Lionhearted, headstrong, pure talent, real man…still our hero.” è il saluto della Nord. Sì, Paul Gascoigne è ancora il nostro eroe. Il mio Eroe. Anche se di anni ora ne ho quarantuno. Anche se non lavoro più per l’azienda in cui feci carriera. E anche e soprattutto, perché io, come lui, ho alternato trionfi a sconfitte.
Come lui, sono caduto e mi sono rialzato. Come lui combatto ogni giorno contro i miei demoni. Che non sono subdoli e tentatori come possono essere l’alcol e la droga, ma stanno lì, ben presenti, a farmi compagnia. Perché Paul Gascoigne, per me, è stato tutto. E forse anche qualcosa di più. E’ stato un poster in camera, un VHS da conservare, una t-shirt da collezionare, un articolo da ritagliare, un libro da rintracciare, un racconto da incorniciare, il doppiopasso da imitare. Paul Gascoigne è stato l’eroe dei miei pomeriggi. Il leit motiv della mia vita sportiva. Il ricordo più puro e struggente del mio essere tifoso. Paul Gascoigne è stata una lunghissima e bellissima Storia d’amore. Che iniziò per caso grazie ad una rivista di videogiochi, ventisette anni fa, continua fino ad oggi e proseguirà fino a domani, fino a dopodomani. Per sempre. Perché se è vero che in un viaggio non conta la meta ma quello che si prova durante, Paul “Gazza” Gascoigne, per me, è stato il miglior compagno di viaggio possibile. “E per questo, non finirò mai di ringraziarti. Grazie, Gazza, Grazie.” Ti voglio bene.