Quello di seconda media è stato un anno di merda. A metà tra l’inferno della prima e il paradiso della terza. Un purgatorio scolastico di cui conservo indelebile un ricordo che è stato incipit di un odio. Anche se ancora non potevo saperlo. Era l’anno scolastico 1987/88, avevo dodici anni, la Lazio era al suo ultimo anno di serie B e il Milan si apprestava a diventare la squadra più forte del mondo. In un tema di italiano a sfondo fantasioso, inventai la storia di un ragazzino tifoso Laziale che, alla vigilia di un Lazio-Milan futuro, per cercare di sconfiggere gli invincibili avversari, decise di fare ricorso ad aiuti sovrannaturali. Drogato dei Dylan Dog letti avidamente con le mani sudate e l’acquolina in bocca, feci organizzare al piccolo protagonista una seduta spiritica in cui convocava gli spiriti di Tommaso Maestrelli e Luciano Re Cecconi per chiedere il loro aiuto. E in una partita/battaglia che viaggiava in parallelo tra il prato dell’Olimpico e il cielo, dove angeli e demoni, molti anni prima di Dan Brown, si scontravano in un duello senza esclusione di colpi, la Lazio riusciva ad avere la meglio sul Milan rendendo felice il piccolo protagonista. Soddisfatto per aver contribuito a modo suo alla vittoria.
A quel foglio protocollo scritto in malo modo dalla mia calligrafia da ex-mancino, affidai ciò che sarebbe stato il mio più grande odio sportivo nei successivi trent’anni.
La Lazio salì in A e sbancò subito San Siro grazie ad un autogoal maldestro di Paolo Maldini. Da lì in poi, a San Siro, il nulla. Nemmeno quando eravamo la squadra più forte del mondo.
Venne però una Coppa Italia. Il primo trofeo dopo tanti anni. Vinta proprio contro il Milan grazie a un goal di un ragazzo romano e Laziale che indossava la maglia numero 13. Venne però uno Scudetto rubato sul fil di lana proprio da quel Milan. Vennero poche gioie e molte delusioni. Che misero il Milan sul mio personale podio delle squadre più odiate. E quello che è successo ieri aggiunge un’altra piccola tacca a questa personale biografia. Una partita infinita. Il gelo e la neve di questi giorni. Una squadra che in 220 minuti ha pensato solamente ad arrivare ai rigori. E poi la lotteria finale. Quella in cui ti tradiscono il tuo giocatore più forte e quello con maggior esperienza. E quella in cui un ragazzo romano e Laziale con addosso la maglia numero 13 ti spedisce all’inferno.
Perché se ci piace credere che Dio è Laziale, per forza di cose il suo avversario principale sarà la squadra del Diavolo.
E se è pur vero che il Diavolo fa le pentole.
È altrettanto vero che la Lazio ancora non riesce a fare i coperchi.
Almeno fino a quando un altro dodicenne come il me di tanti anni fa non deciderà di organizzare un’altra seduta spiritica.