LAZIO-SARRI: LE MIE PAGELLE

LOTITO 10: la verità è che lui Sarri lo voleva da mo’. Ma c’aveva Inzaghi che co’ ‘sta storia della Lazialità nun se voleva schioda’ da Roma e, soprattutto, Maurizio Sarri si era appena accordato con la Roma. E allora tra il dire e il fare, Claudione mette in mezzo Tare. 

“Aho, Igli, so’ er Presidente. Lo sai fa’ l’accento portoghese?”
“Si, Presidente, da ragazzino io fatto provino a Lisbona”.
“Ecco bravo, allora chiama Trigoria e fatte passa’ Friedkin. Je dici che sei Mourinho. Che te sei liberato dal Tottenham e che il sogno tuo è sempre stato quello de allena’ Totti”.
“Ma Presidente, Totti ha smesso quattro anni fa”.
“Nun fa niente! Tu di’ così che funziona sempre”.
Con grande sorpresa di tutto l’ambiente calcistico, e anche di Mourinho stesso, la Roma il giorno dopo annuncia l’ingaggio di José Mourinho. Lasciando libero Sarri.
Ora bisogna solo convincere Inzaghi ad andare via. Ma come?
“Igli, tocca trovare una squadra importante, che giochi con il 3-5-2 e che sia ben collegata con Roma perché lo sai Simone com’è fatto, no? “Gaia de qua, Gaia de là!””.
“Beh, ci sarebbe l’Inter ma loro hanno Conte e soprattutto hanno appena vinto lo Scudetto”.
“Perfetto, bravo Igli, lascia fare a me, ce penso io. Passame er telefono ma prima chiama Conte ma metti er cancelletto e l’asterisco così nun compare er numero. E mo’ che ce parlo nun me fa ride che te rimando a Tirana a vende’ le aquile de legno scolpite da tu’ cugino Dimitri”.
“Plonto, Antonio? Sono il Plesidente Zhang, volevo solo dilti che qui all’Intel non abbiamo più una lila. E che se tu dale me Iban, io velsale buona uscita subito subito. Ma tu plima devi filmale dimissioni”.
Con la panchina dell’Inter libera, si entra nella fase finale del piano messo in piedi da Lotito. Arriva il giorno dell’incontro a Villa San Sebastiano. Sul piatto c’è il rinnovo di Inzaghi per la prossima stagione.
Quando Inzaghi entra, Lotito mette a palla nello stereo una canzone per confondere le idee a Simone.
“Ma Presidente! Questa è…”
“Sì, Simo’…AMALA, PAZZA INTER, AMALA!! 🎵 🎵 ma non lo sentì che ritmo? Che testo? È UNA GIOIA INFINITA CHE DURA UNA VITA!”
Inzaghi a questo punto è confuso. Lotito tira fuori il contratto.
“Allora, Simo’, tutto ok. Visto il lavoro fatto in questi anni ti propongo un bel biennale a quattro milioni l’anno. E te dirò de più: come la vedi se l’anno prossimo torni ad allena’ de Vrij?”
“Fantastico! Siete riusciti a convincerlo a tornare?”
“Non proprio! Tu prima firma però…sbrigate!”
Inzaghi firma. Una stretta di mano a sancire l’accordo. Poi il solito brindisi per festeggiare. E poi Inzaghi lascia felice Villa San Sebastiano. Conferma ai giornalisti fuori la dimora di Lotito, il lieto fine della trattativa. E poi incredulo per quell’aumento inaspettato rilegge di nuovo il contratto. Per poi scoprire che…
“Ah Preside’, sono Simone. Scusi eh, ma stavo a rilegge il contratto ma perché è stampato sulla carta intestata dell’Inter?!?”
Tutututututututu.
“Pronto, il signor Sarri? Sono Claudio Lotito, presidente della Lazio, la prima squadra della Capitale. Le volevo chiedere se era impegnato per i prossimi due anni con un’opzione per il terzo?”
TARE 7: perché tutti sappiamo che a un certo punto è partito con la sua Trabant diesel e ha raggiunto casa de Sarri in Toscana. Ma pe’ fa che? Pe’ convince il Comandante che Muriqi e Akpa Akpro nello stretto so’ capaci de duetta’ come Jorginho e Insigne? Che Escalante in Argentina lo chiamavano “il Valdifiori della Pampa”? No, niente de tutto questo. La verità è che mentre Lotito e Sarri erano in call su Zoom pe’ defini’ i premi partita, a Sarri è venuta improvvisamente voglia de mozzarella de bufala de Battipaglia. E così Claudione ha tirato fuori dalla tasca il rotolo de pezzi da 50 euro, je n’ha allungati tre a Tare e j’ha detto:
“Tiè, va a Battipaglia, comprace tutta la mozzarella che ce vie’ fuori co’ ‘na piotta e mezza e portajela a casa”.
“Ma’ Presidente’, da qui fino a Battipaglia e poi in Toscana….”
“Vai e zitto, Igli. O te devo ricorda’ quando m’hai detto che Durmisi andava sulla fascia come un treno?”
INZAGHI: cinque anni da 8, un giorno da 4. Ma che purtroppo fa media come certi compiti in classe de fine anno. Cinque anni in cui il senso di appartenenza e la Lazialità hanno valorizzato i risultati e le vittorie e hanno contribuito a chiudere un occhio di fronte a certe decisioni spesso incomprensibili. Perché la tua Lazio è stata per lunghi tratti bellissima ed emozionante  e c’è stato un momento in cui i romanisti hanno avuto più paura della Lazio che del Covid stesso. Ma siccome, per citare quel capolavoro di “Fight Club”, “in un arco di tempo abbastanza lungo, l’indice di sopravvivenza di un individuo scende a zero”, alla lunga sono venuti a galla anche i tuoi difetti. Che noi malati di Lazio saremmo stati anche in grado di perdonare se non fosse che dopo aver sbandierato di nuovo la tua Lazialità in tv (che non è la trasmissione de Guidone), hai preferito rimagnatte tutto e vola’ a Milano. Che poi ce sta pure eh. Però bastava nun fa tutte quelle manfrine e magari ce potevi saluta’ comprando ‘na pagina der Corriere dello Sport. Perché a noi tifosi, tanto romantici quanti fregnoni, ste cose ce piacciono e ce fanno dimentica’ tutto. E invece no. Manco quello. Vabbè.
PEDULLA’ 10: in un mondo de cazzari, lui si è dimostrato da subito la fonte più affidabile. Sbaragliando la concorrenza e diventando presto l’unico vero riferimento per chi voleva seguire la trattativa senza isterismi. E Bargiggia muto.
SARRI 10: devi sapere, caro Maurizio, che nella sua Storia la Lazio ha spesso reso grandi, allenatori agli albori della loro carriera. Maestrelli, Mancini, Inzaghi, lo stesso Pioli, Delio Rossi e ci metto pure Ballardini che se avrà ‘na cosa da racconta’ ai nipoti sarà quando ha vinto la Supercoppa contro l’Inter di Mourinho. Quando invece sulla panchina s’è seduto Eriksson, uno che già sapeva come se faceva a vince, sappiamo tutti quello che è successo. Ecco, io nun te dico de famme rivive quei tre anni meravigliosi perché ormai so’ vecchio e er core nun reggerebbe. Però ecco, la sensazione de pote’ fasse un giretto intorno al Sole senza la paura de squajamme le ali, quello sì.
Indicaci la strada, Comandante. Noi saremo pure stronzi, antipatici e polemici ma soprattutto siamo una bella tifoseria de soldati pronti a tutto.
AVANTI LAZIO.

QUEL CHE RESTA

C’è stato un momento ieri in cui, lo ammetto, ho avuto le lacrime agli occhi. E non è stato quando l’arbitro ha messo la parola fine al campionato della Lazio. No. Perché il mio essere tifoso prescinde, fortunatamente, dal risultato finale. E poi mica stavamo andando in serie B, no?

Dicevo, c’è stato un momento in cui mi sono commosso. Ed è stato quando la tifoseria Laziale ha mostrato a tutta Italia, per l’ennesima volta, come si trasforma il settore di uno Stadio in un’opera d’arte. Un’opera d’arte di cui io ero un piccolo tassello blu. Ecco. In quel momento la mia stagione è finita perché avevo completato il mio dovere di tifoso. E una lacrima catartica è scesa per dirmi che comunque sarebbe andata, avevamo fatto il massimo.

Perché prima di fare i processi a questa Lazio, bisognerebbe ricordare da dove si è partiti. Dalle poche aspettative che molti riponevano nella squadra e nella società. Dagli undicimila abbonati. Perché era il famoso secondo anno. Perché senza Keita non si poteva giocare. E via discorrendo. Gli stessi che ieri sera sono ricicciati fuori. Perché pare non aspettassero altro.

Però questa Lazio ha smentito tutti. Così bella e incosciente, ha mostrato per lunghi tratti il gioco più bello in Italia e se l’è giocata su tutti i fronti a testa alta.

Il rammarico per non essere andati in Champions c’è, ci mancherebbe. Gli errori ci sono stati e da questi si dovrà ripartire. Ma non si dica che questa squadra non ha fatto il salto di qualità perché sareste in malafede.

Perché questi ragazzi si sono arresi solo ad un potere che ha cercato in tutti i modi di frenarne l’incredibile corsa. Una classe arbitrale marcia e in malafede. Senza dimenticare gli attacchi mediatici subiti per il caso figurine. C’è stato un momento in cui, a sentire l’opinione pubblica, tifare Lazio era diventato un marchio d’infamia come la lettera scarlatta.

Resta quindi l’amarezza finale ma restano soprattutto negli occhi e nel cuore i goal di Immobile, le magie di Luis Alberto, lo strapotere di Milinkovic-Savic, il goal di Murgia in Supercoppa, la generosità di Lulic, il carisma di Leiva, la Lazialità di Inzaghi.

Resta una squadra che ha riportato allo Stadio una tifoseria.

E questo, al netto dei risultati, dei goal fatti, delle vittorie, resta il successo più grande di questi ragazzi.

Perché per anni abbiamo chiesto e cercato una Lazio che straripasse di Lazialità e non saranno i sei minuti di Salisburgo o i cinque minuti di ieri sera che devono far cambiare idea su questa squadra e su questo Mister.

Perché quelli che oggi criticate, sono gli stessi che vi hanno convinto a tornare allo stadio. Gli stessi che vi hanno fatto esultare per più di cento volte quest’anno.

Chiudo citando tre frasi che mi stanno particolarmente a cuore e spiegano più di tutte l’essenza del tifoso. O almeno quello che per me dovrebbe essere. Una è di Alessandro Tonno, storica voce del tifo biancoceleste: “sorrido perché in fondo starò male due, tre, giorni, forse più, ma alla fine me metterò tutto alle spalle, così come faccio nella vita di tutti i giorni. Gioie e dolori arricchiranno la mia storia, a me interessa vivere di emozioni, di sbagli, di scelte, non mi interessa campare. Andrò sempre allo stadio con lo stesso spirito, ossia quello di divertirmi, andrò per il piacere di stare nella mia comunità, per sostenere la mia squadra. Non cerco nel calcio rivincite sociali, scegliendo la Lazio ho scelto la mia giusta dimensione. Una vita per la Lazio, la Lazio per la vita.”

La seconda e la terza la prendo in prestito da quel meraviglioso Vangelo calcistico che è “Febbre a 90º”. E con queste mi congedo a livello calcistico per questa stagione.

“Mi innamorai del calcio come mi sarei poi innamorato delle donne: improvvisamente, inesplicabilmente, acriticamente, senza pensare al dolore o allo sconvolgimento che avrebbe portato con sé.”

“E la cosa stupenda è che tutto questo si ripete continuamente, c’è sempre un’altra stagione. Se perdi la finale di coppa in maggio puoi sempre aspettare il terzo turno in gennaio, che male c’è in questo? Anzi, è piuttosto confortante, se ci pensi.”

Ecco.

Se tifare una squadra di calcio è confortante.

Tifare Lazio è bellissimo.

Anche e soprattutto quando va come non vorremmo che vada.

BUONE VACANZE LAZIO

BUONE VACANZE LAZIALI

IL VOLO DI SIMONE

Diciamocelo.

Chi, indossando i panni del tifoso più passionale, non si è mai lasciato andare ad esultanze che sono poi andate oltre, trasformando involontariamente un gesto catartico in una gag comica? Personalmente, di mie esultanze così, in tanti anni di stadio, ne ricordo un bel po’. Sono inciampato nei seggiolini. Ho versato addosso al mio vicino la birra che stavo bevendo. Mi sono volati gli occhiali. Mi sono ritrovato dieci file più su o dieci file più giù. Insomma, spesso l’esultanza si è trasformata in un momento di cui ridere. Magari cullati dal ricordo di una vittoria giunta proprio per quel goal.

E allora che bello vedere un Mister che esce dai confini della professionalità e dell’aplomb e dopo la rete che chiude il discorso qualificazione si lascia andare ad una corsa sul tartan bagnato che si trasforma in un ruzzolone senza precedenti.

Che bello vedere un Mister che simula inconsapevole il gesto del tiro in porta per partecipare a modo suo al goal del suo bomber.

Che bello vedere un Mister correre sulla linea del fallo laterale per accompagnare in porta il suo attaccante partito sul filo del fuorigioco.

Che bello vedere un Mister esultare come un tifoso.

Che bello sapere che da due anni la Lazio è allenata da un uomo che fa della Lazialità la sua arma in più.

Che bello vedere Simone Inzaghi allenare la Lazio.

Un uomo che se cade proprio mentre sta per cominciare a volare, si rialza come se non fosse successo nulla. Anzi, si rialza più forte di prima.

Proprio come la Lazio.

Proprio come i Laziali.

LAZIO-CHIEVO: LE MIE PAGELLE

Strakosha 6,5: quando serve c’è. Come er mejo amico tuo, alle due de notte, quando t’ha appena accannato la pischella.

Bastos 6: fori posizione sur go’ der Chievo come quando una t’aspetta nuda in camera da letto e tu imbocchi arrapato in salone. Dà sempre la sensazione che la cazzata sia dietro l’angolo. Ma quando tutto lo stadio sta co’ l’ennesimo “limortaccitua” sulla punta della lingua, piazza il goal che nun t’aspetti. E se prende pure lui un po’ d’applausi.

De Vrij 7: lui nun lo sa, ma è al centro di un esperimento scientifico: testare fino a quanti compagni de reparto pericolosi po’ riusci’ a sopporta’. Pare che nella prossima partita oltre a Bastos e Wallace, je verranno messi accanto pure Mauricio, Oscar Lopez e, se narra, anche er poro Bisevac.

Wallace 6: quando c’ha la palla tra i piedi lui, pare de esse tornati ai tempi delle uscite in presa alta de Valerio Fiori. Chi c’era, sa.

Marusic 7: un’ira de Dio come la i de “Attila” pronunciato da Diego Abatantuono.

Parolo 6,5: dopo er go’ del Chievo, guarda Strakosha e se fa dà subito er pallone come a di’: “Daje, sbrigate! Che a questi je dovemo rompe er culo!” Sur go’ der due a uno, stoppa la palla pe’ Milinkovic come quando giocavi sulla sabbia a Passoscuro e preparavi l’arzata pe’ l’amico tuo, quello più forte de tutti.

Leiva 8: monumentale come la statua dell’Ammiraglio Nelson a Trafalgar Square. Me lo immagino cacacazzi pure a casa quando la moje vole passa’ l’aspirapolvere e je dice “ah Lucas, ma te levi che stai sempre in mezzo!” Sul terzo goal, pesca il Sergente con la precisione e la classe di Juan Sebastian Veron. E meno male che nun era bono a fa’ er regista. Meno male.

Milinkovic-Savic 8: (da leggere con la voce di Piero Angela) oggi ci occuperemo di un elemento che sta portando scompiglio in serie A da un paio d’anni. Trattasi di Sergej Milinkovic-Savic, ribattezzato dagli esperti del settore “Il Sergente”. Costui è un essere vivente dotato di un fisico e di una tecnica di base superiori alla media che gli permettono giocate di qualità sopraffina. A rendere pericoloso e immarcabile il tutto, è quella sua consapevolezza mista a strafottenza che gli indigeni del luogo chiamano “coattaggine”. Nella partita disputata ieri, si esibisce in due suoi pezzi di repertorio: la “bomba da fuori” in occasione del primo goal e la “rovesciata spaziale” con cui sigla la doppietta. Pare che un altro elemento della razza dei Milinkovic-Savic giochi in porta e venga avvistato spesso dalle parti di Torino, anche se si narra che recentemente abbia fatto dei danni anche qui a Roma. Ma questa è un’altra storia (di Instagram). Per questa settimana è tutto, “Le pagelle di Piero Angela” vi danno appuntamento alla prossima puntata.

Lulic 6,5: fresco de compleanno, pareva brutto fasse fischia’ er rigore contro. Senad Lulic, l’uomo che sconfisse pure er Var.

Luis Alberto 6,5: stavolta la sblocca senza dove’ pe’ forza fa’ er go’ der secolo. Quando esce Immobile se sente spaesato come Bo senza Luke. Come Batman senza Robin. Come Malgioglio senza er marito dell’amica sua.

Immobile sv: stringe i denti pe’ resta’ in campo. Ma ora noi strignemo er culo pe’ lui. Torna presto, Ciru’, che ‘sta Lazio aspetta a te!

Anderson 6,5: un po’ falso nueve. Un po’ falso Lucio Battisti.

Lukaku 7: ‘na volta, dopo pranzo, pe’ digeri’, uno se pijava lo sgroppino. Da quando ce sta lui, tutti i Laziali pijano lo sgroppone. Sur go’ de Nani se ne va via co’ la stessa prepotenza co’ cui er ripetente te fregava la merenda a ricreazione, in prima media.

Nani 7 (me pare logico): entra in partita con lo stesso carisma de Fonzie quando imboccava da Arnold’s e tutti se giravano a guardallo. Coatto come Poncharello dei “Chips”, regala prima a Bastos la palla per il goal del 4-1 e poi dimostra che avrei dovuto schierallo comunque titolare al Fantacalcio con la bordata in scivolata che mette il sigillo sul match.

Inzaghi 8: je se presenta davanti una combo (bestia nera, sosta e infortunio de Immobile) che metterebbe in ginocchio pure Jeeg Robot. Tra l’altro er Chievo cominciò a rompe er cazzo alla Lazio proprio quando lui giocava ancora, nel lontano 2002. E Simone, allo scadere, se magno’ er go’ der pareggio dopo che tale Della Morte ce uccise (vabbe’, er gioco de parole era scontato) partendo in solitaria verso Peruzzi dopo ‘na punizione battuta a cazzo de cane da Sorin. Chi c’era, sa (parte seconda). Comunque, tornando a noi: la partita è arcigna e piena de insidie. Ma Inzaghi ha preso er calco der culo de Maran già all’andata. E sa come faje male. Detto. Fatto. Inzaghi se chiava pure er Chievo. E riparte da dove s’eravamo fermati. Co’ ‘na cinquina che fa male a tutto er Campionato.

AVANTI LAZIO.

AVANTI LAZIALI.