SS LAZIO 2017/18: IL PAGELLONE FINALE

Strakosha: la sua stagione è perfettamente incastrata tra il rigore parato a Dybala, i miracoli con l’Atalanta e le incertezze in alcuni momenti clou. Molto reattivo tra i pali peccato però che l’ultima volta che è uscito, c’aveva sedici anni ed era annato a un pub de Tirana co’ Berisha e Lorik Cana. RIMANDATO IN INIZIATIVA.

Vargic: credibile come er curriculum de Giuseppe Conte. BOCCIATO.

Guerrieri: je volevano dedica’ un servizio a “Chi l’ha visto?” ma pare nun esistano foto sue. RIMANDATO IN VISIBILITÀ.

Bastos: l’unico giocatore al mondo capace di passa’ dalla modalità Thuram a quella Diakite nel giro de pochi secondi. Il suo punto de forza è che almeno segna in maniera direttamente proporzionale ai goal che ce fa pija’. RIMANDATO IN COSTANZA E CONCENTRAZIONE.

Wallace: elegante come er pinocchietto d’estate. Efficace come la mano sudata quando te presenti a un colloquio de lavoro. Ma ha fatto anche delle cose buone. RIMANDATO IN ESTETICA E AFFIDABILITÀ.

De Vrij: difende, segna e gioca co’ continuità. Peccato pe’ ‘sto finale de stagione che fa molto Salvini pre-governo. A Roma, dice a Di Maio de sta tranquillo che va tutto bene mentre a Milano prepara l’alleanza co’ Berlusconi per le prossime elezioni. RIMANDATO A MILANO.

Caceres: arrivato a gennaio nella Capitale. Da ottobre in poi nasceranno tanti nuovi aquilotti che parleranno spagnolo. RIMANDATO IN MONOGAMIA.

LuizFelipe: se diploma a Salerno con il minimo dei voti ma è a Roma che trova la giusta dimensione. Tanta personalità e senso dell’anticipo e qualche, inevitabile, peccato de gioventù tipo quando te inculavi i pacchetti de Brooklyn alla Standa. PROMOSSO.

Radu: la sua miglior stagione da quando è alla Lazio. Appare ringiovanito de dieci anni come le donne che se tolgono le rughe co’ le applicazioni dell’IPhone. PROMOSSO.

Patric: nun se po’ nun voleje bene. RIMANDATO IN TECNICA DE BASE.

Basta: er poro Dusan comincia ad accusa’ un po’ troppo i segni dell’età che avanza. Un po’ come tu nonna quando a tombola je devi ripete all’orecchio i numeri estratti da chi tiene er tabellone. RIMANDATO A DIECI ANNI PRIMA.

Marusic: costante come le dichiarazioni de Di Maio nei confronti de Mattarella. RIMANDATO IN CORAGGIO.

Lukaku: spesso devastante a partita iniziata, vedi in Supercoppa, quando gioca titolare, entra in partita con la stessa rapidità con cui Di Maio e Salvini trovano un punto d’incontro per il Governo. RIMANDATO IN PROATTIVITÀ.

Lulic: Capitano, mio Capitano. L’unico giocatore imprevedibile per gli avversari e per i compagni de squadra. Solca il campo senza senso apparente ma fa sempre la cosa giusta pur non sapendo di volerla fare. L’unico uomo al mondo che, se lo schermo dell’iPhone je se mette in modalità orizzontale, nun deve inclina’ la testa pe’ legge bene. PROMOSSO.

Leiva: è come quando vai sempre al solito ristorante sulla Cassia e prendi sempre la specialità argentina della casa. Poi un giorno, all’improvviso, lo chef albanese cambia er menù e te propone un piatto brasiliano, che ha scoperto in un vecchio pub de Liverpool. Tu prima storci la bocca. Poi però dopo le prime due forchettate, nun ne poi fa’ più a meno. E cominci a ordina’ solo quello. Pe’ tutto l’anno. PROMOSSO.

Parolo: è quell’amico tuo silenzioso e con la faccia da bravo ragazzo che sta sempre in disparte ma quando nun esce er sabato sera, manca a tutta la comitiva. PROMOSSO.

Milinkovic-Savic: gioca una stagione con la stessa convinta strafottenza con cui Verdone mette er record al flipper in “Troppo Forte”. Talmente coatto che j’avrei voluto vede’ gioca’ ‘na partita con gli occhiali da sole. PROMOSSO.

Murgia: er go’ ad agosto in Supercoppa è come quando imbocchi in discoteca e, pronti via, rimedi subito er numero de telefono della guardarobiera. Il resto della stagione è quando entri in pista e scopri che sei finito in una serata over70. RIMANDATO IN PERSONALITÀ.

Di Gennaro: purtroppo per la Lazio, non ripete la stagione strepitosa che lo portò a vince lo Scudetto con il Verona di Bagnoli, Pietro Fanna e Nanu Galderisi. Dà il suo meglio come commento tecnico durante le telecronache di Mediaset. BOCCIATO.

LuisAlberto: illumina il gioco della Lazio con la stessa pratica essenzialità della torcia dell’IPhone quando cerchi le chiavi della macchina che te so’ cascate pe’ terra de notte. Confeziona capolavori in serie ispirato come Leopardi di fronte all’ermo colle. PROMOSSO.

Anderson: i capelli e la tecnica di Vincenzo D’Amico. La cattiveria dell’orso Yoghi. Frenato da un brutto infortunio a inizio stagione, se accende a intermittenza come le lucette del Presepe. RIMANDATO IN CONVINZIONE E TIGNA.

Nani: s’è venuto a diverti’. BOCCIATO.

Caicedo: evidentemente quando Iglone Tare l’ha comprato, s’è dimenticato de fa’ la più classica delle domande: “Sì, le sponde, er gioco de squadra, er fisico, le sportellate. Bello tutto. Ma fa anche i goal?” RIMANDATO IN CONCRETEZZA.

Immobile: capocannoniere in Italia e in Europa e basterebbe questo per definire la grandezza della sua annata. Segna con la stessa continuità con cui er Pupone sbaglia i congiuntivi e vive una stagione esaltante come er finale de “Bomber”. PROMOSSO.

Inzaghi: la sua Lazio vince er primo trofeo della stagione contro la Juve e gioca a testa alta sempre. Contro tutto e tutti. Avversari e arbitri. Forse, se avesse abbassato ogni tanto la testa e coperto un po’ più er culo, la stagione avrebbe avuto un finale diverso. Ma nun bisogna dimentica’ da dove semo partiti e quante emozioni abbiamo provato. È stato un anno intenso. Un anno da Laziali. E a ‘sta squadra e a ‘sto Mister je se po’ solo di’ “Grazie!” PROMOSSO.

AVANTI LAZIO.

AVANTI LAZIALI.

IN SPIAGGIA.

PS: quella appena finita è stata una stagione intensa e mi piace pensare che queste pagelle siano state il giusto contorno anche per sdrammatizzare un contesto in cui spesso riversiamo troppe aspettative. Vi ringrazio per gli attestati di stima e i complimenti che mi hanno sempre spinto a fare del mio meglio e a presentarle con la giusta puntualità. Credo fermamente che uno scrittore o chi pretende di essere tale debba sempre rispettare i propri lettori. Io non so se ci sono riuscito. Ma di sicuro, ce l’ho messa tutta.

Con affetto

Alessandro Aquilino

QUEL CHE RESTA

C’è stato un momento ieri in cui, lo ammetto, ho avuto le lacrime agli occhi. E non è stato quando l’arbitro ha messo la parola fine al campionato della Lazio. No. Perché il mio essere tifoso prescinde, fortunatamente, dal risultato finale. E poi mica stavamo andando in serie B, no?

Dicevo, c’è stato un momento in cui mi sono commosso. Ed è stato quando la tifoseria Laziale ha mostrato a tutta Italia, per l’ennesima volta, come si trasforma il settore di uno Stadio in un’opera d’arte. Un’opera d’arte di cui io ero un piccolo tassello blu. Ecco. In quel momento la mia stagione è finita perché avevo completato il mio dovere di tifoso. E una lacrima catartica è scesa per dirmi che comunque sarebbe andata, avevamo fatto il massimo.

Perché prima di fare i processi a questa Lazio, bisognerebbe ricordare da dove si è partiti. Dalle poche aspettative che molti riponevano nella squadra e nella società. Dagli undicimila abbonati. Perché era il famoso secondo anno. Perché senza Keita non si poteva giocare. E via discorrendo. Gli stessi che ieri sera sono ricicciati fuori. Perché pare non aspettassero altro.

Però questa Lazio ha smentito tutti. Così bella e incosciente, ha mostrato per lunghi tratti il gioco più bello in Italia e se l’è giocata su tutti i fronti a testa alta.

Il rammarico per non essere andati in Champions c’è, ci mancherebbe. Gli errori ci sono stati e da questi si dovrà ripartire. Ma non si dica che questa squadra non ha fatto il salto di qualità perché sareste in malafede.

Perché questi ragazzi si sono arresi solo ad un potere che ha cercato in tutti i modi di frenarne l’incredibile corsa. Una classe arbitrale marcia e in malafede. Senza dimenticare gli attacchi mediatici subiti per il caso figurine. C’è stato un momento in cui, a sentire l’opinione pubblica, tifare Lazio era diventato un marchio d’infamia come la lettera scarlatta.

Resta quindi l’amarezza finale ma restano soprattutto negli occhi e nel cuore i goal di Immobile, le magie di Luis Alberto, lo strapotere di Milinkovic-Savic, il goal di Murgia in Supercoppa, la generosità di Lulic, il carisma di Leiva, la Lazialità di Inzaghi.

Resta una squadra che ha riportato allo Stadio una tifoseria.

E questo, al netto dei risultati, dei goal fatti, delle vittorie, resta il successo più grande di questi ragazzi.

Perché per anni abbiamo chiesto e cercato una Lazio che straripasse di Lazialità e non saranno i sei minuti di Salisburgo o i cinque minuti di ieri sera che devono far cambiare idea su questa squadra e su questo Mister.

Perché quelli che oggi criticate, sono gli stessi che vi hanno convinto a tornare allo stadio. Gli stessi che vi hanno fatto esultare per più di cento volte quest’anno.

Chiudo citando tre frasi che mi stanno particolarmente a cuore e spiegano più di tutte l’essenza del tifoso. O almeno quello che per me dovrebbe essere. Una è di Alessandro Tonno, storica voce del tifo biancoceleste: “sorrido perché in fondo starò male due, tre, giorni, forse più, ma alla fine me metterò tutto alle spalle, così come faccio nella vita di tutti i giorni. Gioie e dolori arricchiranno la mia storia, a me interessa vivere di emozioni, di sbagli, di scelte, non mi interessa campare. Andrò sempre allo stadio con lo stesso spirito, ossia quello di divertirmi, andrò per il piacere di stare nella mia comunità, per sostenere la mia squadra. Non cerco nel calcio rivincite sociali, scegliendo la Lazio ho scelto la mia giusta dimensione. Una vita per la Lazio, la Lazio per la vita.”

La seconda e la terza la prendo in prestito da quel meraviglioso Vangelo calcistico che è “Febbre a 90º”. E con queste mi congedo a livello calcistico per questa stagione.

“Mi innamorai del calcio come mi sarei poi innamorato delle donne: improvvisamente, inesplicabilmente, acriticamente, senza pensare al dolore o allo sconvolgimento che avrebbe portato con sé.”

“E la cosa stupenda è che tutto questo si ripete continuamente, c’è sempre un’altra stagione. Se perdi la finale di coppa in maggio puoi sempre aspettare il terzo turno in gennaio, che male c’è in questo? Anzi, è piuttosto confortante, se ci pensi.”

Ecco.

Se tifare una squadra di calcio è confortante.

Tifare Lazio è bellissimo.

Anche e soprattutto quando va come non vorremmo che vada.

BUONE VACANZE LAZIO

BUONE VACANZE LAZIALI

SERGEJ MILINKOVIC-SAVIC: UNA BIOGRAFIA NON AUTORIZZATA

Sergej nasce in Serbia ventitré anni fa ed è er fijo segreto de Ivan Drago e de Brigitte Nielsen, concepito sul set de “Rocky IV” e partorito solo una decina de anni dopo, al termine de ‘na lunga gestazione.

Quando viene ar mondo, infatti, è alto già un metro e cinquanta e viene subito convocato pe’ ‘na partita de spareggio tra la Serbia e la Croazia, categoria Allievi Terminator.

A scuola, nun è bravissimo: sempre seduto all’ultimo banco, è il re dello “schiaffo der soldato” e de “nun se move ‘na foja!”, giochi nei quali sviluppa le sue future abilità di provocatore e di mostratore de diti medi occulti a tutti i compagni de classe. Soprattutto a quelli che nun je passano i compiti.

Quando sbarca a Fiumicino se presenta così a Tare: “Io Sergej”. E il buon Igli, memore delle gare de verbi che faceva a Tirana, je risponde: “…Tu sergesti, egli sergebbe, noi sergemmo, voi sergeste, essi sergerono!”

Fu così che nacque subito un grande feeling che fece sì che Sergej preferì la Lazio alla Fiorentina.

Accolto dal solito mantra del laziale 2.0, “se era bono, te pare ce lo davano a noi?” (lo stesso usato, tra l’altro, per De Vrij, Leiva e Parolo), er buon Sergej co’ er poro Pioli se specializza nella spizzata de palloni su rinvio der portiere e nulla più, nun trovando un’esatta collocazione in campo.

Sarà grazie a Simone Inzaghi, uno che fa colazione co’ Pane e Bielsa, pranza con Spaghetti alla Mourinho e cena co’ Scaloppine alla Sven Goran, che er buon Sergej se piazzerà ar centro der campo. E nun ne uscirà più.

Perché Sergej c’ha er nome ar passato ma è il primo giocatore proiettato nel futuro pe’ quanto è moderno.

Perché Sergej c’ha più ruoli che cognomi.

Perché er fratello che gioca in porta, nun è er fratello, ma è lui che sotto mentite spoje se diverte pure a mettese in porta.

Perché Sergej mena quando deve mena’.

Segna quando deve segna’.

Dribbla quando deve dribbla’

Provoca quando deve provoca’.

Sempre co’ quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così, che abbiamo noi che andiamo a tifare la Lazio.

La faccia de chi nun c’ha paura de niente.

La faccia da Laziale fracico.

LAZIO-CHIEVO: LE MIE PAGELLE

Strakosha 6,5: quando serve c’è. Come er mejo amico tuo, alle due de notte, quando t’ha appena accannato la pischella.

Bastos 6: fori posizione sur go’ der Chievo come quando una t’aspetta nuda in camera da letto e tu imbocchi arrapato in salone. Dà sempre la sensazione che la cazzata sia dietro l’angolo. Ma quando tutto lo stadio sta co’ l’ennesimo “limortaccitua” sulla punta della lingua, piazza il goal che nun t’aspetti. E se prende pure lui un po’ d’applausi.

De Vrij 7: lui nun lo sa, ma è al centro di un esperimento scientifico: testare fino a quanti compagni de reparto pericolosi po’ riusci’ a sopporta’. Pare che nella prossima partita oltre a Bastos e Wallace, je verranno messi accanto pure Mauricio, Oscar Lopez e, se narra, anche er poro Bisevac.

Wallace 6: quando c’ha la palla tra i piedi lui, pare de esse tornati ai tempi delle uscite in presa alta de Valerio Fiori. Chi c’era, sa.

Marusic 7: un’ira de Dio come la i de “Attila” pronunciato da Diego Abatantuono.

Parolo 6,5: dopo er go’ del Chievo, guarda Strakosha e se fa dà subito er pallone come a di’: “Daje, sbrigate! Che a questi je dovemo rompe er culo!” Sur go’ der due a uno, stoppa la palla pe’ Milinkovic come quando giocavi sulla sabbia a Passoscuro e preparavi l’arzata pe’ l’amico tuo, quello più forte de tutti.

Leiva 8: monumentale come la statua dell’Ammiraglio Nelson a Trafalgar Square. Me lo immagino cacacazzi pure a casa quando la moje vole passa’ l’aspirapolvere e je dice “ah Lucas, ma te levi che stai sempre in mezzo!” Sul terzo goal, pesca il Sergente con la precisione e la classe di Juan Sebastian Veron. E meno male che nun era bono a fa’ er regista. Meno male.

Milinkovic-Savic 8: (da leggere con la voce di Piero Angela) oggi ci occuperemo di un elemento che sta portando scompiglio in serie A da un paio d’anni. Trattasi di Sergej Milinkovic-Savic, ribattezzato dagli esperti del settore “Il Sergente”. Costui è un essere vivente dotato di un fisico e di una tecnica di base superiori alla media che gli permettono giocate di qualità sopraffina. A rendere pericoloso e immarcabile il tutto, è quella sua consapevolezza mista a strafottenza che gli indigeni del luogo chiamano “coattaggine”. Nella partita disputata ieri, si esibisce in due suoi pezzi di repertorio: la “bomba da fuori” in occasione del primo goal e la “rovesciata spaziale” con cui sigla la doppietta. Pare che un altro elemento della razza dei Milinkovic-Savic giochi in porta e venga avvistato spesso dalle parti di Torino, anche se si narra che recentemente abbia fatto dei danni anche qui a Roma. Ma questa è un’altra storia (di Instagram). Per questa settimana è tutto, “Le pagelle di Piero Angela” vi danno appuntamento alla prossima puntata.

Lulic 6,5: fresco de compleanno, pareva brutto fasse fischia’ er rigore contro. Senad Lulic, l’uomo che sconfisse pure er Var.

Luis Alberto 6,5: stavolta la sblocca senza dove’ pe’ forza fa’ er go’ der secolo. Quando esce Immobile se sente spaesato come Bo senza Luke. Come Batman senza Robin. Come Malgioglio senza er marito dell’amica sua.

Immobile sv: stringe i denti pe’ resta’ in campo. Ma ora noi strignemo er culo pe’ lui. Torna presto, Ciru’, che ‘sta Lazio aspetta a te!

Anderson 6,5: un po’ falso nueve. Un po’ falso Lucio Battisti.

Lukaku 7: ‘na volta, dopo pranzo, pe’ digeri’, uno se pijava lo sgroppino. Da quando ce sta lui, tutti i Laziali pijano lo sgroppone. Sur go’ de Nani se ne va via co’ la stessa prepotenza co’ cui er ripetente te fregava la merenda a ricreazione, in prima media.

Nani 7 (me pare logico): entra in partita con lo stesso carisma de Fonzie quando imboccava da Arnold’s e tutti se giravano a guardallo. Coatto come Poncharello dei “Chips”, regala prima a Bastos la palla per il goal del 4-1 e poi dimostra che avrei dovuto schierallo comunque titolare al Fantacalcio con la bordata in scivolata che mette il sigillo sul match.

Inzaghi 8: je se presenta davanti una combo (bestia nera, sosta e infortunio de Immobile) che metterebbe in ginocchio pure Jeeg Robot. Tra l’altro er Chievo cominciò a rompe er cazzo alla Lazio proprio quando lui giocava ancora, nel lontano 2002. E Simone, allo scadere, se magno’ er go’ der pareggio dopo che tale Della Morte ce uccise (vabbe’, er gioco de parole era scontato) partendo in solitaria verso Peruzzi dopo ‘na punizione battuta a cazzo de cane da Sorin. Chi c’era, sa (parte seconda). Comunque, tornando a noi: la partita è arcigna e piena de insidie. Ma Inzaghi ha preso er calco der culo de Maran già all’andata. E sa come faje male. Detto. Fatto. Inzaghi se chiava pure er Chievo. E riparte da dove s’eravamo fermati. Co’ ‘na cinquina che fa male a tutto er Campionato.

AVANTI LAZIO.

AVANTI LAZIALI.

SAMPDORIA-LAZIO: LA MIA PARTITA

Sì, ok, Genova puzza de pesce, er mare inquinato, etc, etc. Però alla Sampdoria, dopo la vittoria ai rigori in Coppa Italia e quel 25 aprile del 2010 che ce liberò dar male, nun je se po’ vole’ male. Dai su. Perché quando semo tristi, uno mette gli highlights dei go’ de Pazzini. Pensi che potevi nasce romanista. E allora te rendi conto che la vita è bella. E va bene così. Senza parole. Come resti tu quando, ner momento più bello della partita, dopo un palo preso da Parolo e una costante spinta offensiva alla ricerca del vantaggio, Bastos e De Vrij vanno insieme addosso a Quagliarella manco fosse ‘na bella fica e lasciano solo soletto Zapata, noto rivoluzionario messicano, che porta in vantaggio la Samp. Uno a zero nel momento migliore dei tuoi. E visto che la Lazio viene da un paio de settimane in cui, secondo i dettami della Legge de Murphy, tutto quello che po’ anna’ storto, ce va. Anzi, ce VAR. Tu stai lì, sur divano, e pensi che pure oggi è annata. Perché la Samp in casa ha sempre vinto. Che due settimane fa ha schiantato la Juve. E che. E che. E che cazzo. Pure la Lazio però fuori casa ha sempre vinto. Pure la Lazio ha schiantato la Juve. Per ben due volte addirittura ner giro de pochi mesi. E allora eccola che torna la squadra che comoscevi. Ecco Milinkovic che domina er gioco manco fosse Dart Fener ner villaggio dei Puffi. Ecco Marusic che spigne sulla fascia come un treno de quelli che arrivavano in orario quando c’era lui. Ecco la mischia su ‘na punizione ed ecco la zampata de Sergej a dieci minuti dalla fine che rimette le cose in parità. Uno a uno. E Sergej che se guarda i compagni e je fa er gesto tipo “Annamo, va! Che se inculamo pure questi!”

E mentre la fortissima Samp arranca come Apollo Creed sotto i colpi de Ivan Drago, eccolo il momento definitivo. Quer momento in cui er Sergente decide de fa’ come je pare. Pesca in area de rigore con la precisione de Sampei la Pantera Nera. Che dopo ave’ chiesto a Immobile “Ce penz tu, Ciru’?!”, s’appropria der pallone vagante e regala i tre punti alla Lazio. E il VAR muto. Sto cazzo de VAR che pare ‘na socera che vole mette bocca su tutti quelli che so’ i cazzi della Lazio. ‘Na socera che però fa pippa quando se tratta de anna’ a rompe i cojoni a qualcun altro. E mentre Caicedo se concede una delle esultanze più belle della storia. Mentre Inzaghi s’abbraccia Leiva e Lulic come er soldato Ryan dopo che è stato salvato. Mentre i giocatori vanno a esulta’ sotto il magnifico settore ospiti. Capisci pe’ l’ennesima volta che sta squadra c’ha du’ palle così e che pe’ fermalla ce vole solo ‘na Vagonata de Acchitti Reiterati. In poche parole: VAR.