LAZIO-INTER: LE MIE PAGELLE

REINA 7,5: nella partita apparentemente più difficile dopo la comparsata a “Paperissima sprint” di domenica scorsa, se ritrova a fa’ solo una parata. Poi però dopo ave’ preso lo straccio bagnato de Lautaro (che è come quei cani de merda che abbaiano sempre ma nun mozzicano mai), ha l’intuizione più riuscita della partita: fa riparti’ il contropiede proprio là, dove Dimarco (con i capelli de uno che sembra uscito da un film de Almodovar) pare Kennedy a Dallas.

HYSAJ 6: C’ha la grande capacità de fa danni pure quando la situazione è apparentemente tranquilla. Tipo Verdone quando manda bevuto Mario Brega in “Bianco Rosso e Verdone”: “M’hai fatto carcera’! A ‘nfame! A ‘nfamone!”

MARUSIC 7: quando gioca lui, le diagonali arrivano in orario.
PATRIC 8: dove non c’arriva con il fisico ci arriva con la foga. Un po’ come quando Alvaro Vitali provava a scopasse Carmen Russo in certe commedie anni ‘80.
LUIZ FELIPE 8: salta sulla schiena di Correa con quella maschia goliardia der mejo amico tuo quando t’abbraccia a fine serata e te dice “sei andato in bianco stasera eh? Beh, io no! Fregnone!”
LAZZARI 8: spacca la partita con la stessa facilità con cui il grande Bud Spencer apriva in due una noce di cocco.
LEIVA 7: peccato che ormai duri solo un tempo. Come certi film de Muccino.
CATALDI sv: chiede a Sarri de entra’ perché sennò Lotito je scalava l’ultimi sessanta euro rimasti sul coupon de Vivaticket.
BASIC 7,5: la mossa a sorpresa di Sarri che garantisce qualità e quantità nella prima parte di gara. Va vicino al goal grazie allo stesso inserimento fatto in Europa League (ma stavolta di piede). E se Milinkovic è per tutti noi “Er Sergente”, lui è già Caporale Maggiore.
LUIS ALBERTO 8: la punizione del terzo goal è un apostrofo rosa sulle parole “tiè, segna!”
MILINKOVIC-SAVIC 10: quando vede l’Inter se trasforma come Jeeg-Robot quando Miwa je lanciava i componenti. Dopo un primo tempo di quantità, nel secondo sale in cattedra con il suo solito strapotere tecnico. Sulla pennellata di Luis Alberto, va in terzo tempo su Skriniar tipo Lebron James che schiaccia in faccia a Gigi la Trottola. Poi l’esultanza dopo, beh, l’esultanza dopo, beh, l’esultanza dopo, beh (no, nun me so’ incajato tranquilli) è solo che l’esultanza dopo, beh, con quelle mani mosse come a dire “attaccateve tutti ar cazzo”, beh, io la userei come poster per la prossima campagna abbonamenti.
PEDRO 7,5: “magari ti chiamerò trottolino amoroso e dudu dadadà.”
AKPA AKPRO sv: entra solo pe’ fa l linguaccia alla telecamera ed è subito Steve Urkel ai tempi de “Otto sotto un tetto”.
FELIPE ANDERSON 10: c’è stato un momento qualche anno fa in cui smettesti, per me e per quelli come me che nel calcio riversano gli stessi sentimenti che mettono nella vita di tutti i giorni, di essere un giocatore della Lazio. Fu quando, in una partita contro il Genoa che perdemmo nel recupero, entrasti in campo svogliato, abulico e dichiaratamente polemico nei confronti del mister di allora, reo di snaturarti e di non metterti nelle condizioni di esaltare e dare libero sfogo al tuo estro e alla tua esplosività. Al netto di tutto questo, però, nessuno ti perdonò la tua mancata chiusura sul secondo palo dopo la parata di Perin su Immobile. Lo stesso Immobile ti guardò infuriato, e noi con lui, maledicendoti per non aver accompagnato l’azione che avrebbe sancito il goal della probabile vittoria. Ieri però il Destino ti ha teso una mano. E lo ha fatto, come spesso accade, nel migliore dei modi possibili. Contro il tuo vecchio mister, prima ti ha costretto a tirare fuori il Felipe che non conoscevamo. Perché noi eravamo abituati a quello che piange quando Koulibaly gli ruba palla in un leggendario Napoli Lazio. E allora ‘sticazzi di Di Marco a terra, hai pensato. Restasse lì, a simulare un colpo di fucile ricevuto dagli spalti. Ed eccolo poi Ciro pescato con quella delicatezza che solo il tuo piede educato può rendere così elementare. E poi eccola l’azione da seguire. Tu che pensi “stavolta ci sono”. Perché il Comandante che siede in panchina, il giorno prima, ha detto che si aspetta una reazione dagli uomini e non dai calciatori. E tu ora lo sei: uomo. E allora eccola la smanacciata di Handanovic e la palla che arriva lì. Dove stavolta arrivi a chiudere il cerchio. Nuovamente e finalmente Laziale. Di quelli migliori. Quelli che hanno invitato a cena Storia, Karma e Destino. E hanno pagato il Conto.
ZACCAGNI 7: torna in campo dopo l’infortunio all’ileopsoas. E la domanda nasce spontanea: ma che cazzo è l’ileopsoas?
IMMOBILE 9: rimette le cose a posto con il rigore e poi porta al bar Skriniar (ma poi lo lascia lì e lui va in porta) nell’azione del 2-1. A soli due goal da Piola, più che mai l’ago della bilancia di questa squadra.
SARRI 10: in conferenza stampa, il Comandante aveva detto “mi aspetto una risposta dagli uomini, non dai calciatori”. E così è stato. Presenta una Lazio fisica in grado di giocarsela con la temibile armata nerazzurra e poi la stravolge per arrivare alla vittoria proprio nel momento in cui la maggior parte degli allenatori avrebbe rinviato i cambi dopo aver raggiunto il pareggio. E invece no. Sarri la vince perché vuole vincere mentre Inzaghi la perde, come spesso gli capita, perché la vuole pareggiare. E così mentre Inzaghi toglie Bastoni, Sarri carica a denari con Lazzari e Luis Alberto. E mentre tutti fanno girare la baracca mediatica intorno al mancato fair play, in pochi mettoni in evidenza i meriti di un allenatore e i demeriti dell’altro. Ma a noi ce piace così. Da soli contro tutti. E con in testa il nostro Comandante. Uno che sa trasformare la cultura del lavoro in passione. E la passione in spettacolo.
SPECIAL GUEST
DIMARCO 4: te sei riarzato, bello de mamma? Tutto bene? Fai pure con comodo. Tanto a noi nun ce ne frega un cazzo. Continuamo a gioca’ lo stesso.
CORREA 3: di tanti giocatori scippatici dall’Inter, forse il più inutile. E pure un amico de merda. Se po’ di’?
SIMONE INZA…chi?
AVANTI LAZIO
AVANTI SARRISTI

LAZIO-ROMA: LE MIE PAGELLE

REINA 8: reattivo tra i pali come nei suoi anni migliori. Sul destro di Zaniolo compie la migliore parata del campionato. Ora mi spiego perché è arrivato al campo con la DeLorean.
MARUSIC 7,5: la mossa a sorpresa di Sarri che lo preferisce a Lazzari capendo che in alcune situazioni i centimetri in più contamo. Un po’ come quando stavi pe’ anda’ in discoteca, te guardavi allo specchio e te mettevi un po’ più de ovatta nelle mutande.
HYSAJ 7: è come quell’amico tuo che sa fa’ tutto. Te perde il lavandino, chiami lui. Nun te parte la macchina, chiami lui. Te becchi un virus sul pc perché guardi troppi porno, chiami lui. Te se blocca DAZN? Mmh, lì nun te salva manco Gesù Cristo.
ACERBI 8: a inizio partita s’avvicina all’attaccante della Roma e gli chiede: “Scusa moro, com’è che ti chiami te?”. E lui: “Abraham”. Acerbi, compiendo uno strano gesto con le mani, risponde: “Cadabra”. E lo fa’ spari’ per tutti i 90 minuti.
LUIZ FELIPE 7,5: quando mette da parte l’estetica e si concentra sulla concretezza, sfoggia le sue migliori prestazioni. Come consigliava il tizio a Ceccherini durante il provino ne “I laureati”: “un poco poco più ah e un poco poco meno invece ah”.
LEIVA 7,5: te prego Lucas, nun ce manda’ più tu’ cugino.
CATALDI 7: perché quando la partita si fa dura, c’è bisogno pure del senso d’appartenenza de sto ragazzetto qua.
LUIS ALBERTO 7,5: il raggio laser con cui innesca Immobile vale da solo il prezzo del biglietto. Quando uscirà dal campo felice dopo una sostituzione, allora qual giorno sapremo che il tempo di Luis Alberto alla Lazio è terminato.
AKPA AKPRO 7: provi a pronunciarlo e te se sloga un incisivo. L’unico giocatore africano senza alcun tipo di fascia muscolare entra in campo e non viene ammonito. E già questa, è una splendida notizia.
MILINKOVIC SAVIC 8,5: segna di testa e sviene, non rendendosi conto di aver segnato il goal del vantaggio. Il laccio californiano di Rui Patricio lo stordisce talmente tanto che inizia a esulta’ intorno alle 22 quando scende in giardino all’Olgiata e comincia a corre andando a citofona’ a tutti i compagni.
FELIPE ANDERSON 9: passa tutta la settimana a giocare a FIFA 15 per provare a ripetere quelle giocate che lo resero inarrestabile. Poi scende in campo e gioca come se fosse Beep Beep facendo fare a Vina figura del Coyote. Pare che la Panini quest’anno farà uscire l’album dei Calciatori in una “Vina Version” senza la figurina di Anderson: un modo carino per dimostrare solidarietà a un giocatore con seri problemi di labirintite.
IMMOBILE 8: solo un minestraro ripulito come Roberto Mancini può trasformare il più prolifico e altruista attaccante italiano degli ultimi anni in un giocatore abulico e fuori contesto. La verità è che Ciro Immobile è un attaccante talmente particolare che va capito ed esaltato. I due assist con cui spacca la partita sono tanta roba. Roba alla Roberto Mancini, appunto.
MURIQI sv: in partite come queste, vojo bene pure a lui.

PEDRO 10: inutile nascondersi dietro a un dito. Il goal suo lo aspettavano tutti i Laziali e lo temevano tutti i romanisti. E siccome uno più uno, a Roma, fa ancora due, eccolo qua. Piattone chirurgico dal limite dell’area ed esultanza catartica senza alcun rimpianto per il suo passato sbagliato. E poi disimpegno con busta e umiliazione sul loro Zaniolo che lo sta ancora a cerca’. Prossimamente su Netflix, una serie dedicata a lui: “Ex Maleducation”. 

SARRI 10: quando leggevo di Laziali che dopo cinque partite chiedevano la sua testa, mi tornavano in mente le parole di un mio amico, tifoso di un’altra squadra, quando dice che certe piazze non meritano certi allenatori perché troppo schiave del proprio provincialismo. Ecco, io amo Maurizio Sarri. Amo la sua ossessione e dedizione verso un lavoro che ama e che si è meritato partita dopo partita. Mi emoziono quando lo vedo prendere appunti durante la partite. Lo ascolto in conferenza stampa perché ha sempre qualcosa di interessante da dire, da spiegare. Mi ha emozionato a fine partita quando è corso come un bambino felice sotto la Nord. Con l’entusiasmo di Geppetto quando forgia Pinocchio. Con la felice incredulità con cui Michelangelo chiede al suo Mosé: “Perché non parli?”. Ieri Maurizio Sarri ha messo in piedi un piccolo grande capolavoro. Costringendo Mourinho a dire “abbiamo dominato” dopo che in venti minuti la sua Lazio aveva messo già la partita in ghiaccio.
MOURINHO 10: amo José Mourinho da sempre. La sua dialettica, il suo modo di entrare nella testa dei giocatori e nel cuore dei suoi tifosi. Amo guardarlo nei gesti meno reclamizzati, quando aspetta che la Lazio entri per salutare Sarri, per esempio. O durante il siparietto con Felipe Anderson. E lo conosco. Non di persona, sfortunatamente ma è uno con cui andrei volentieri a cena. E so che in quanto detto a fine partita non ci crede nemmeno lui. Parla di dominio giallorosso per non dover ammettere che ha sbagliato approccio e che la Lazio avrebbe potuto chiudere la partita dopo mezz’ora. Il dominio avviene solo quando è costretto a rimettere la partita in carreggiata, mai prima. È un dominio di inerzia, non di gioco. E la Lazio fa sostanzialmente ciò che deve fare una squadra sempre in vantaggio: aspetta e riparte. Parla dell’arbitro senza far riferimento al rosso che avrebbe meritato Rui Patricio per un intervento completamente senza senso. O la gomitata in faccia di Mancini a Muriqi. Chiede un doppio giallo ridicolo su Leiva ma tutto è fatto in maniera chirurgica per distogliere le attenzioni dai suoi errori e da quelli della sua squadra. Chi lo conosce, lo sa. Io continuo ad amarlo, colori a parte. Perché certi personaggi, come lo stesso Sarri ma in maniera diametralmente opposta, rendono il calcio uno sport bellissimo. E hanno reso il Derby di ieri uno dei più intendi degli ultimi anni.
ZANIOLO 4: tecnica ed esplosività al servizio di un cervello con un neurone che se chiede dove so’ finiti tutti gli altri. La sceneggiata sul rigore gli apre infinite prospettive cinematografiche a fine carriera. Potrebbe essere un giocatore devastante, ma molto probabilmente verrà ricordato come il Balotelli bianco.
AVANTI LAZIO

LAZIO-SARRI: LE MIE PAGELLE

LOTITO 10: la verità è che lui Sarri lo voleva da mo’. Ma c’aveva Inzaghi che co’ ‘sta storia della Lazialità nun se voleva schioda’ da Roma e, soprattutto, Maurizio Sarri si era appena accordato con la Roma. E allora tra il dire e il fare, Claudione mette in mezzo Tare. 

“Aho, Igli, so’ er Presidente. Lo sai fa’ l’accento portoghese?”
“Si, Presidente, da ragazzino io fatto provino a Lisbona”.
“Ecco bravo, allora chiama Trigoria e fatte passa’ Friedkin. Je dici che sei Mourinho. Che te sei liberato dal Tottenham e che il sogno tuo è sempre stato quello de allena’ Totti”.
“Ma Presidente, Totti ha smesso quattro anni fa”.
“Nun fa niente! Tu di’ così che funziona sempre”.
Con grande sorpresa di tutto l’ambiente calcistico, e anche di Mourinho stesso, la Roma il giorno dopo annuncia l’ingaggio di José Mourinho. Lasciando libero Sarri.
Ora bisogna solo convincere Inzaghi ad andare via. Ma come?
“Igli, tocca trovare una squadra importante, che giochi con il 3-5-2 e che sia ben collegata con Roma perché lo sai Simone com’è fatto, no? “Gaia de qua, Gaia de là!””.
“Beh, ci sarebbe l’Inter ma loro hanno Conte e soprattutto hanno appena vinto lo Scudetto”.
“Perfetto, bravo Igli, lascia fare a me, ce penso io. Passame er telefono ma prima chiama Conte ma metti er cancelletto e l’asterisco così nun compare er numero. E mo’ che ce parlo nun me fa ride che te rimando a Tirana a vende’ le aquile de legno scolpite da tu’ cugino Dimitri”.
“Plonto, Antonio? Sono il Plesidente Zhang, volevo solo dilti che qui all’Intel non abbiamo più una lila. E che se tu dale me Iban, io velsale buona uscita subito subito. Ma tu plima devi filmale dimissioni”.
Con la panchina dell’Inter libera, si entra nella fase finale del piano messo in piedi da Lotito. Arriva il giorno dell’incontro a Villa San Sebastiano. Sul piatto c’è il rinnovo di Inzaghi per la prossima stagione.
Quando Inzaghi entra, Lotito mette a palla nello stereo una canzone per confondere le idee a Simone.
“Ma Presidente! Questa è…”
“Sì, Simo’…AMALA, PAZZA INTER, AMALA!! 🎵 🎵 ma non lo sentì che ritmo? Che testo? È UNA GIOIA INFINITA CHE DURA UNA VITA!”
Inzaghi a questo punto è confuso. Lotito tira fuori il contratto.
“Allora, Simo’, tutto ok. Visto il lavoro fatto in questi anni ti propongo un bel biennale a quattro milioni l’anno. E te dirò de più: come la vedi se l’anno prossimo torni ad allena’ de Vrij?”
“Fantastico! Siete riusciti a convincerlo a tornare?”
“Non proprio! Tu prima firma però…sbrigate!”
Inzaghi firma. Una stretta di mano a sancire l’accordo. Poi il solito brindisi per festeggiare. E poi Inzaghi lascia felice Villa San Sebastiano. Conferma ai giornalisti fuori la dimora di Lotito, il lieto fine della trattativa. E poi incredulo per quell’aumento inaspettato rilegge di nuovo il contratto. Per poi scoprire che…
“Ah Preside’, sono Simone. Scusi eh, ma stavo a rilegge il contratto ma perché è stampato sulla carta intestata dell’Inter?!?”
Tutututututututu.
“Pronto, il signor Sarri? Sono Claudio Lotito, presidente della Lazio, la prima squadra della Capitale. Le volevo chiedere se era impegnato per i prossimi due anni con un’opzione per il terzo?”
TARE 7: perché tutti sappiamo che a un certo punto è partito con la sua Trabant diesel e ha raggiunto casa de Sarri in Toscana. Ma pe’ fa che? Pe’ convince il Comandante che Muriqi e Akpa Akpro nello stretto so’ capaci de duetta’ come Jorginho e Insigne? Che Escalante in Argentina lo chiamavano “il Valdifiori della Pampa”? No, niente de tutto questo. La verità è che mentre Lotito e Sarri erano in call su Zoom pe’ defini’ i premi partita, a Sarri è venuta improvvisamente voglia de mozzarella de bufala de Battipaglia. E così Claudione ha tirato fuori dalla tasca il rotolo de pezzi da 50 euro, je n’ha allungati tre a Tare e j’ha detto:
“Tiè, va a Battipaglia, comprace tutta la mozzarella che ce vie’ fuori co’ ‘na piotta e mezza e portajela a casa”.
“Ma’ Presidente’, da qui fino a Battipaglia e poi in Toscana….”
“Vai e zitto, Igli. O te devo ricorda’ quando m’hai detto che Durmisi andava sulla fascia come un treno?”
INZAGHI: cinque anni da 8, un giorno da 4. Ma che purtroppo fa media come certi compiti in classe de fine anno. Cinque anni in cui il senso di appartenenza e la Lazialità hanno valorizzato i risultati e le vittorie e hanno contribuito a chiudere un occhio di fronte a certe decisioni spesso incomprensibili. Perché la tua Lazio è stata per lunghi tratti bellissima ed emozionante  e c’è stato un momento in cui i romanisti hanno avuto più paura della Lazio che del Covid stesso. Ma siccome, per citare quel capolavoro di “Fight Club”, “in un arco di tempo abbastanza lungo, l’indice di sopravvivenza di un individuo scende a zero”, alla lunga sono venuti a galla anche i tuoi difetti. Che noi malati di Lazio saremmo stati anche in grado di perdonare se non fosse che dopo aver sbandierato di nuovo la tua Lazialità in tv (che non è la trasmissione de Guidone), hai preferito rimagnatte tutto e vola’ a Milano. Che poi ce sta pure eh. Però bastava nun fa tutte quelle manfrine e magari ce potevi saluta’ comprando ‘na pagina der Corriere dello Sport. Perché a noi tifosi, tanto romantici quanti fregnoni, ste cose ce piacciono e ce fanno dimentica’ tutto. E invece no. Manco quello. Vabbè.
PEDULLA’ 10: in un mondo de cazzari, lui si è dimostrato da subito la fonte più affidabile. Sbaragliando la concorrenza e diventando presto l’unico vero riferimento per chi voleva seguire la trattativa senza isterismi. E Bargiggia muto.
SARRI 10: devi sapere, caro Maurizio, che nella sua Storia la Lazio ha spesso reso grandi, allenatori agli albori della loro carriera. Maestrelli, Mancini, Inzaghi, lo stesso Pioli, Delio Rossi e ci metto pure Ballardini che se avrà ‘na cosa da racconta’ ai nipoti sarà quando ha vinto la Supercoppa contro l’Inter di Mourinho. Quando invece sulla panchina s’è seduto Eriksson, uno che già sapeva come se faceva a vince, sappiamo tutti quello che è successo. Ecco, io nun te dico de famme rivive quei tre anni meravigliosi perché ormai so’ vecchio e er core nun reggerebbe. Però ecco, la sensazione de pote’ fasse un giretto intorno al Sole senza la paura de squajamme le ali, quello sì.
Indicaci la strada, Comandante. Noi saremo pure stronzi, antipatici e polemici ma soprattutto siamo una bella tifoseria de soldati pronti a tutto.
AVANTI LAZIO.

“TRENT’ANNI: UNA VITA”

Lo ammetto. Quando il Tucu Correa, a pochi minuti dalla fine, ha snaturato sé stesso e anziché accarezzare il pallone come suo solito, ha scelto di entrare nella storia della Lazio con una potenza e un senso del goal che non pensavo potessero appartenergli, ho pianto. Nel buio della stanza, illuminato solo dai led del televisore e dalle giocate sontuose di un Luis Alberto mai così divino, sono esploso in un pianto catartico, come mai mi era accaduto durante una partita della Lazio (Scudetto escluso, ovviamente). La mia compagna, avvertita del vantaggio della Lazio dal mio urlo improvviso che deve aver svegliato gran parte del palazzo, percependo il mio singhiozzare, mi ha raggiunto davanti al televisore, chiedendomi cosa avessi e cosa fosse successo. E tutto quello che sono riuscito a dirle è stato: “Trent’anni”. Già, trent’anni. Tanto è passato da quando Maldini infilò nella propria porta il più clamoroso degli autogoal. Da quel momento, Lazio più o meno forti contro Milan più o meno stellari erano sempre uscite con le pive nel sacco, a volte anche in modo rocambolesco e immeritato, dal San Siro rossonero. Avevo quattordici anni e tre mesi esatti, quel pomeriggio di settembre. Eravamo a casa di mia nonna a Palombara Sabina, come ogni fine settimana della mia adolescenza, e io stavo giocando a pallone in giardino quando mio fratello si affacciò al balcone per dirmi che eravamo passati in vantaggio. Ricordo tutto come fosse ieri. Una Polaroid impressa nella mia mente che finalmente, dopo ieri sera, posso finalmente mandare in soffitta. E così, trent’anni e due mesi dopo, i ricordi di una vita sono esplosi nella mia testa in un improvviso e irrefrenabile rewind. Il ragazzino pieno di sogni che ero e l’uomo con mille difetti che sono adesso. Il diploma. Il servizio militare a Verona e a Mestre. L’ingresso nel mondo del lavoro e la mia crescita professionale. Il mio primo racconto pubblicato sul “Guerin Sportivo”. La malattia e la scomparsa di mio Padre. La prima volta che ho visto Bruce Springsteen dal vivo. I miei errori e la mia rinascita. Il mio primo romanzo. L’amore. La collaborazione con “Il Corriere dello Sport”. Trent’anni. Con la Lazio sempre presente. A fare da splendida colonna emotiva di una vita che non finisce mai di stupire ed emozionare. Come ieri sera. A quarantaquattro anni e cinque mesi esatti. Quando un uomo si riscopre ragazzino. E comincia a piangere.

27 OTTOBRE 1979

Vincenzo tirò giù la serranda dell’officina e si avviò verso casa. Era sabato sera. Un’altra settimana era finita. Montespaccato era una borgata che accompagnava la periferia nord di Roma fino alla campagna pre Raccordo Anulare. Gli anni di piombo stavano lasciando pian piano spazio a quelli della Banda della Magliana. In un incrocio sempre più perverso di politica e criminalità. Vincenzo era un uomo tranquillo. Una moglie e due figli. E quei trentatré anni così già pieni di responsabilità.

Vincenzo arrivò a casa. Baciò la moglie sulle labbra. Accarezzò i capelli ai suoi due bambini intenti a giocare con le macchinine della Polistil. E poi andò in bagno per togliere dalle mani le ultime scorie di una settimana lavorativa.

Poi andò in cucina. Senza farsi sentire dalla moglie, le si avvicinò alle spalle. E con le mani profumate di vita, amore e lavoro le coprì gli occhi.

“Lasciame! Vince’! Devo fini’ de cucina’…”

“T’ho fatto ‘na sorpresa, amo’!”

Poi tolse le mani. Lei si girò. E lui le mostrò sorridente due biglietti colorati.

“E che so’?”

“Du’ biglietti per il Derby di domani…”

“Oddio, il Derby…ma nun sarà pericoloso, Vince’?”

“Ma che? Lo stadio? Ma che stai a di’! Se portamo du’ pagnottelle e vedemo la Lazio vince. Dai retta a Vincenzo tuo!”

“Allora se me dici che è tranquillo, ce vengo volentieri! Grazie Amore mio! Ora però chiama i pupi, che la cena è quasi pronta…”

Vincenzo andò in cameretta. Richiamò all’ordine i suoi due eredi.

“Dai, ragazzi, che è pronta le cena! Se magna!”

E sorrise, Vincenzo.

Perché la vita era bella.

Il 27 ottobre del 1979.

FROSINONE-LAZIO: LE MIE PAGELLE

Strakosha 7: passa er primo tempo a cerca’ su Internet un posto dove compra’ la mozzarella de bufala nelle vicinanze dello stadio. Nel secondo, salva er risultato co’ la prontezza de riflessi co’ cui Jerry Calà se spoja davanti a Sabrina Salerno in “Fratelli d’Italia”.

Bastos 6: lui e Wallace quando giocano so’ capaci de fasse rimpiange a vicenda. Verrà premiato come “primo Laziale a cui il VAR ha annullato a suo favore una decisione arbitrale”. Che de ‘sti tempi, è tanta roba.

Acerbi 8: monumentale. Se Salvini venisse a fa’ un comizio a Formello, se metterebbe la maja sua.

Radu 6,5: sta ancora a insulta’ Abisso.

Marusic 6: i polmoni ce stanno. Se se ricordasse de porta’ in campo pure i piedi, però, nun farebbe un soldo de danno.

Durmisi 6: tocca spiegaje che il calcio non è il rugby e che la palla se po’ passa’ pure in avanti.

Parolo 6,5: indispensabile come er guanciale nella carbonara.

Badelj 6: c’ha lo stesso ritmo partita de un anziano davanti a un cantiere.

Leiva 6,5: entra e rende più solido er centrocampo laziale. ‘Na specie de Viagra calcistico, in pratica.

Luis Alberto 6,5: “eh, se vede che sta bene fisicamente!” dico al mio vicino de posto nella Tribuna Est dello Stirpe. Passano due minuti, se tocca l’inguine e chiede er cambio. Io, i cazzi mia, mai eh?!

Lulic 6: quando se mette trequartista alle spalle de Immobile, m’è tornato in mente er poro Roberto Bacci che Zoff lo faceva gioca’ sempre e ovunque.

Immobile 6,5: stanco e poco lucido come er tifoso laziale dopo la due giorni de pippe pe’ la Coppa Italia.

Caicedo 7,5: “se segnava contro er Crotone” is the new “Sì, ma allora il PD?”. Ma lui se ne frega come la neve di Ligabue e tira uno scaldabagno sotto l’incrocio dei pali che regala tre punti fondamentali alla Lazio nella corsa Champions.

Berisha 6: più spaesato de Pollicino quando je se magnano le molliche de pane sulla strada der ritorno.

Inzaghi 6,5: non era facile tenere alta la concentrazione della squadra dopo il successo con l’Inter. Lui ci riesce anche se i cambi stavolta sembravano fatti cor sacchetto dei numeri della Tombola.

AVANTI LAZIO

INTER-LAZIO: LE MIE PAGELLE

Strakosha 9: si, ok, l’ultima volta che è uscito dai pali c’aveva sedici anni. Sì, ok, quando respinge er pallone, se dimentica che nun deve passallo agli avversari. Sì, tutto vero. Però è vero pure che se in Serie A ce fosse la lotteria dei rigori, sto ragazzo qui potrebbe facce vince lo Scudetto.

Wallace 6,5: er momento in cui corre appresso a Miranda, lo placca, prende ‘na tacchettata in testa, viene ammonito ed esce pe’ infortunio entra de diritto nella top five de “gli infortuni più stronzi della storia del Calcio”. “Tu prendi Miranda” j’aveva detto Inzaghi prima del match, riferendosi alle marcature sui calci d’angolo. Er poro Fortuna se dimentica er contesto e segue le indicazioni der Mister alla lettera. Troppo alla lettera.

Bastos 6,5: in una partita così epica, nun po’ mai manca’ quello che gioca tutto l’incontro co’ la testa fasciata.

Acerbi 8: torna in campo dopo che quel piccolo uomo di Rocchi gli ha negato la possibilità di inseguire un record meritato per professionalità, tenacia e attaccamento alla Vita. Annulla Icardi con una facilità disarmante e calcia un rigore che se non ci fosse stata la rete, avrebbero ritrovato il pallone in provincia di Varese. In un calcio fatto di mille de Vrij, noi ci teniamo tutta la vita Francesco Acerbi. Uomo vero.

Radu 7: er momento in cui se fa caccia’ quando Abisso fischia er rigore. Ecco. Quello è er momento in cui Stefan Raduieri sera, ha smesso de esse calciatore. E s’è messo nei panni de ognuno de noi. Davanti alla tv. Cor telecomando usato come mazza da baseball manco fossimo Jack Nicholson impazzito ndll’Overlook Hotel. Senza più parole. Solo co’ tante parolacce. Stefan Radu, Laziale fracico.

Marusic 6,5: l’arrivo de Romulo lo rianima tipo er fulmine co’ Frankestein Junior.

Lulic 6,5: se corresse la metà ma sbajasse meno cross, forse sarebbe mejo. Ma forse, non sarebbe più Senad Lulic. E noi se lo tenemo stretto così. Il nostro Re di Coppe.

Durmisi 6: quando se presenta sur dischetto de rigore, c’ha ‘na faccia talmente spaurita che pare Nino de “La leva calcistica della classe ‘68”.

Milinkovic-Savic 6: che poi vabbè, è ita come è ita e va bene cosi. Ma santoddio, Serge’, ‘na spallata così dentro l’aria de rigore quando ormai la partita è finita e tu devi solo lascia’ scorre er pallone nemmeno quando pogavamo da ragazzini ascoltando musica de merda.

Leiva 9: l’anno scorso un suo errore dal dischetto aveva contribuito alla sconfitta in semifinale contro il Milan. Quest’anno, tocca a lui calciare il rigore decisivo e, con la stessa freddezza e lucidità con cui ha dominato il centrocampo per 120 minuti, manda la Lazio e i Laziali in Paradiso. A giocarsi meritatamente la rivincita dello scorso anno. “Il calcio toglie, il calcio dà”. Regola che vale per tutti. Tranne che per i romanisti.

Luis Alberto 6,5: spesso nel vivo del gioco, quando ha l’occasione giusta sui piedi, sceglie sempre la soluzione sbagliata. Un po’ come quei clienti che me chiedono dove sta Zara. Io je dico: “esce dal negozio e va a sinistra”. Te ringraziano. Escono dar negozio. E vanno a destra.

Parolo 6,5: l’amico tuo, quello bravo, che quando er sabato sera nun esce, ne senti la mancanza. Quello che te viene a saluta’ quando parti militare. Quello che inviti ar matrimonio. Quello che je fai fa da padrino a tu’ fijo. Quello che vorresti ce fosse sempre.

Correa 6: tanta classe ma dura meno de ‘na storia de Instagram della Ferragni.

Caicedo 6: le due imprese più belle e mozzafiato della Lazio negli ultimi due anni (ieri e a Torino lo scorso anno) passano attraverso due suoi errori macroscopici davanti al portiere avversario. Perché Felipe Caicedo c’è stato inviato dal Destino pe’ ricordacce ogni volta che alla Lazio, le cose facili, nun je piacciono. E noi, pe’ l’ennesima volta, ne prendemo atto.

Immobile 8: dopo il brutto errore con la Juve, cerca er go’ co’ la stessa ostinata costanza co’ cui Patrick Dempsey corteggia Ellen Pompeo in “Grey’s Anatomy”. Lo trova, al termine di uno scambio co’ Caicedo de quelli che fai a Fifa quando spingi i tasti a caso, dopo una partita in cui ha messo tutto e pure qualcosa di più.

Inzaghi 8: basterebbe il video della sua esultanza in Tribuna dopo er rigore de Leiva pe’ rinnovaje er contratto pe’ altri dieci anni. Chi nun vole bene a Simone Inzaghi, se merita anni e anni de Ballardini.

Abisso 2: Asamoah espulso giustamente per un’entrata assassina e poi ammonito grazie al Var. Asamoah, da cui parte il lancio che porta al fallo da rigore di Milinkovic. Ecco come si rovinano e si indirizzano le partite. Uno scempio che solo le parate di Strakosha e il rigore di Leiva spingeranno nell’anonimato.

Telecronisti Rai 3: ne ignoro i nomi ma potrebbero essere tranquillamente Trevisani e Adani sotto mentite spoglie. J’è mancato solo “la riprende Icardi!” e potevamo sta tranquillamente su Inter Channel.

Spalletti 8: l’hai fatti impazzi’ mandando in pensione er Pupone e solo pe’ questo i Laziali te dovrebbero vole’ un po’ de bene. Se poi se mettemo a parla’ delle rosicate quando giochi contro de noi, allora lì, te dovremmo dedica’ un capitolo a parte, da inseri’ nei nostri 119 anni de Storia. Ciao Lucia’, bella pe’ te!

De Vrij 2: se potrebbero scrive tante cose, quello che me chiedo, però, è chissà che hai provato ieri sera. Spaparanzato nella tua milionaria comfort-zone fatta di infortuni e turn-over.

Naingollan 8: famo a fidasse? Fidamose. Un uomo. Un meme.

Monchi 8: dopo avecce regalato Immobile tre anni fa e ave’ costruito ‘na squadra capace de prendene sette dalla Fiorentina, se inventa la cessione der Ninja all’Inter pe’ mannacce dritti dritti in semifinale. Ramon Rodriguez Verdejo detto “Monchi”, più Laziale de tanti de noi.

AVANTI LAZIO

LAZIO-SPAL: LE MIE PAGELLE

Strakosha 6: su Antenucci è reattivo come la Blasi quando fa la morale a Corona. Poi la Spal diventa pericolosa come la Roma a Manchester l’anno der 7 a 1 e lui prende solo tanta acqua.

Wallace 6,5: pure quando gioca bene come oggi, te dà sempre l’idea de esse quello che, quando da piccolo facevi le squadre a “bim bum bam le giù”, scejevi pe’ ultimo e lo mettevi in porta.

Acerbi 6: sur go’ della Spal appare spaesato e fuori luogo come Toninelli quando parla der tunnel der Brennero. Poi se riprende al punto de guida’ un contropiede con la stessa pesante leggiadria de Berardino Capocchiano in un Lazio-Sampdoria de tanti, ma tanti, anni fa.

Radu 6,5: che er Dio del Calcio ce lo conservi così fino al 2021.

Patric 7: sulla fascia destra, è arrembante come quando sei invitato a un matrimonio e te danno er via libera ar buffet.

Milinkovic-Savic 6: ATTENZIONE! ANNUNCIO IMPORTANTE: a inizio giugno è uscito dalla sua casa all’Olgiata per recarsi ai Mondiali in Russia e non ha più fatto ritorno a casa. È alto 1,92 cm, indossa la maglia 21 e sa abbinare, in modo unico, tecnica e potenza. Se doveste avere notizie che possono aiutare a ritrovarlo, telefonare a Claudio e Igli, ore pasti.

Berisha 6: entra quando la partita c’ha meno spunti della trentaduesima serie de “Beatiful”.

Cataldi 7: manda’ in giro i giovani in prestito, serve. Prendono pizze dalla vita e se tolgono de dosso un po’ de quella presunzione de chi se la sente calla, pur non avendo dimostrato niente. Danilo Cataldi è tornato a casa dopo un anno e mezzo e appare un giocatore diverso. Il tempo ci darà conferma. Nel mentre, oggi, gli battiamo le mani. Perché i Laziali sanno quando è il momento giusto per farlo.

Parolo 7: cerca er go’ e lo trova con la stessa tignosa ostinazione de quello che vole scopa’ e se fa sette profili su Badoo.

Lulic 6,5: sur go’ della Spal, Lazzari je se ne va come er vespino a Fantozzi quando je fregano la pensione sur pianerottolo de casa. Mezzo voto in più per la giacca data al bambino che era con lui durante l’ingresso in campo.

Lukaku 6: quando entra in campo Dickmann, sentendosi chiamato in causa, j’esce fori er rimastino anni ‘90 che è in lui e comincia a canta’: “Don’t want no short dick man”.

Caicedo 6,5: il partner ideale di Immobile. Nell’azione del raddoppio, fa talmente tanto a sportellate che, al momento della sostituzione, più che tra gli applausi dei propri tifosi, esce firmando i CID dei difensori avversari.

Correa 6,5: c’ha un gioco de gambe che ogni volta che fa ‘na finta, mezza Tribuna Tevere va pe’ terra.

Immobile 8: una sentenza. Sur primo go’, un capolavoro di coordinazione, se appizza sur secondo palo e fa er vago come quello che te passa davanti ar bar mentre tu stai da tre ore co’ lo scontrino in mano e cerchi de fatte nota’ dar barista che nun te vede manco fossi er Var contro la Lazio, l’anno scorso. Ner secondo, lo scambio co’ Caicedo è perfetto come un duetto tra Wess e Dori Ghezzi.

Inzaghi 7: la Spal era un avversario ostico. L’anno scorso aveva strappato un pareggio a reti inviolate e quest’anno, proprio all’Olimpico, aveva fatto bottino pieno contro la quarta squadra più forte d’Europa (nonché Campione d’Europa morale). Ma Simone la vince facendo quello che gli riesce meglio: le cose semplici. Mentre il suo dirimpettaio, Semplici, non riesce a fare le cose Inzaghi.

AVANTI LAZIO

21 GIUGNO 1987: SOLSTIZIO BIANCOCELESTE

Fiorini

È il 21 giugno del 1987, l’estate a Roma è esplosa in tutto il suo fragore e lo Stadio Olimpico è pieno in ogni ordine di posto. Ma chi è lì, quel giorno, non sta sperando di alzare al cielo la Coppa dei Campioni. No. Perché quel giorno, a Roma, sta andando in scena un vero e proprio dramma sportivo. Il cronometro del signor D’Elia di Salerno segna l’ottantaduesimo. Mancano otto minuti alla fine di Lazio Vicenza e i biancocelesti allenati da Eugenio Fascetti sono matematicamente retrocessi in serie C quando Antonio Elia Acerbis, soprannominato “Il muto” per la sua idiosincrasia a rilasciare interviste, dalla fascia sinistra, scodella un pallone in area di rigore vicentina…

Quando il 5 agosto del 1986, la CAF ribalta la sentenza di retrocessione della Lazio per lo scandalo calcioscommesse in serie C1 e la trasforma in una penalizzazione di 9 punti da scontare nella serie cadetta, sono in molti, laziali compresi, a pensare che quella sentenza posticipi soltanto di un anno una retrocessione inevitabile. Soprattutto nell’era dei due punti a vittoria.

E quando Eugenio Fascetti, neo allenatore biancoceleste, si ritrova al centro del campo di allenamento di Gubbio, sede del ritiro estivo, per cercare di compattare un gruppo che rischia di sciogliersi prima di iniziare, ancora non lo sa che, le parole pronunciate quel pomeriggio, diventeranno l’incipit di una della pagine più memorabili della Storia del Calcio Italiano: “Chi vuole resti. Chi non se la sente può andar via subito. Ma chi resta combatte fino alla fine.

Restarono tutti. Anche chi aveva le valigie già pronte per tornare a Roma.

…sul cross di Acerbis si avventa Angelo Adamo Gregucci, stopper roccioso con la faccia da bravo ragazzo, uno di quelli che a scuola, quando il ripetente di turno ti voleva rubare la merenda, arrivava sempre a difenderti e poi ti dava una pacca sulla spalla. L’Angelo biancoceleste, quel pomeriggio di giugno, si trova nell’area di rigore avversaria, in modo inversamente proporzionale al proprio ruolo, nel disperato tentativo di infrangere il muro alzato da Ennio Dal Bianco, ultimo baluardo vicentino, che quel pomeriggio arriva ovunque. Ovunque possano crollare le speranze laziali. Ma Angelo Adamo Gregucci viene anticipato e la palla finisce al limite dell’area di rigore, sui piedi del vicentino Lucchetti…

Recuperare nove punti di penalizzazione è difficile e iniziare bene il Campionato di Serie B, una palude sportiva dove è facile passare dal trionfo alla tragedia in un attimo, è fondamentale, ma la Lazio non riesce nell’impresa e la partenza è troppo soft, per non dire drammatica. Pareggio a Parma e sconfitta in casa con il Messina a undici minuti dalla fine. La prima vittoria arriva soltanto alla quarta giornata contro il Bologna, grazie a un 2 a 1 firmato da Magncavallo e Mandelli. Dopo otto partite, finalmente, il segno “meno” viene tolto dalla classifica e tutto appare più normale. Si comincia a parlare la stessa lingua delle altre squadre ma otto partite di ritardo sono tante. Anche se la squadra, che presenta un buon mix di giocatori esperti come Terraneo, Fiorini e Mimmo Caso e giovani promettenti come Gabriele Pin, Mandelli e Gregucci, ha tutto per centrare l’impresa.

…Lucchetti, al limite dell’area, svirgola il pallone e anziché spedirlo dall’altra parte del campo, lo consegna sui piedi di Esposito. La palla quel pomeriggio è infuocata come il Sole romano e pesa tanto quanto il respiro all’unisono dei 62000 dell’Olimpico. Esposito stoppa il pallone e potrebbe provare il tiro. Ma non lo fa. Allora guarda a destra e vede Gabriele Podavini, terzino destro dai piedi buoni e dai polmoni inesauribili, uno nato a Brescia ma Laziale dentro, dopo cinque anni di militanza con l’Aquila sul petto e nel cuore. Gabriele Podavini non ha paura di provare il tiro della disperazione. L’ennesimo. Perché ogni pallone calciato negli ultimi dieci minuti di una partita così è un pallone disperato. Calciato con il nodo in gola e con il fiato sospeso. E allora il “Poda” chiude gli occhi, carica il destro e prova il tiro della vita. Quello che può cambiare il Destino della sua squadra del cuore….

La Lazio di Mister Fascetti, sospinta da un pubblico incredibile che fa registrare una media di 35/40000 spettatori a partita, prende il ritmo giusto e viaggia a gonfie vele. La rabbia dei tifosi sugli spalti alimenta gli animi dei giocatori in campo in un unisono sportivo che lascia presagire traguardi molto più elevati che una semplice salvezza. Lo zenit della stagione laziale arriva alla ventottesima giornata, dopo la vittoria con il Cesena in casa, grazie a un goal del bomber Giuliano Fiorini, uno che ha attraversato, sorridendo e facendo a sportellate, le aree di rigore di tutte le categorie calcistiche. La Lazio, a dieci giornate dalla fine, è tredicesima con venticinque punti, ma se gli vengono sommati i nove di penalizzazione recuperati, i punti diventano trentaquattro. Gli stessi della Cremonese prima in classifica. Tenere a bada gli entusiasmi in una piazza carica di rabbia e d’amore come Roma è molto difficile. Eugenio Fascetti intuisce che il pericolo della facile esaltazione è dietro l’angolo e dichiara che “non siamo ancora salvi”. Il mister toscano conosce la serie B. E non si fida. Ma l’entusiasmo è difficile da frenare.

…Podavini vede partire il tiro e non crede ai suoi occhi. Proprio lui che ha calciato quel rigore pazzesco a Campobasso sotto l’incrocio dei pali a quattro minuti dalla fine, quando nessuno dei suoi compagni aveva il coraggio di andare sul dischetto. Lui che da quel giorno è diventato il rigorista della squadra. Lui, a cui il compagno meno esperto ha affidato le speranze di una svolta, lascia partire un tiro sbilenco, lento, che non arriva nemmeno in porta. Ma che finisce sui piedi di Giuliano Fiorini, che si è accampato in area di rigore, nell’attesa del pallone giusto…

Dopo la vittoria con il Cesena, i timori di Fascetti si avverano e la Lazio precipita in una crisi di risultati drammatica: infila tre pareggi consecutivi con Modena, Taranto e Sanbenedettese poi perde a Trieste e soprattutto in casa contro l’Arezzo a cinque minuti dalla fine. I due punti tornano grazie al successo sul Cagliari ma la sconfitta a Genova, il pareggio a reti inviolate in casa con il Lecce e, soprattutto, il crollo a Pisa per tre a zero alla penultima giornata, sbattono la Lazio sull’orlo del precipizio. Quel punto esatto in cui il confine tra il dramma e il sollievo, tra la disperazione e la speranza diventa labile. All’ultima giornata, la Lazio ha trentuno punti ed è penultima insieme al Taranto. Il Cagliari, con ventisei punti, è matematicamente retrocesso. Un punto sopra i Laziali e i pugliesi ci sono il Catania e il Vicenza, che, la domenica successiva, scende a Roma in un match da dentro o fuori. Da vita o morte. Alla Lazio serve una vittoria per continuare a sperare. Per continuare a vivere. Trentasette partite non sono servite a nulla. Ne servirà una trentottesima, e forse non basterà nemmeno quella, per scrivere il finale di un campionato drammatico.

…Giuliano Fiorini è con le spalle alla porta, appoggiato con il corpo al numero cinque Bertozzi, quando riceve sul destro il tiro infelice di Podavini…

Quella domenica, all’Olimpico non entra uno spillo, 62000 spettatori sono quelli ufficiali. Ma probabilmente sono molti di più. La Curva Nord, all’ultimo atto di una stagione al cardiopalma, espone uno striscione che è un grido di amore e di battaglia allo stesso tempo: “Noi con la Voce…Voi con il Cuore!”
Per sopravvivere serviranno entrambi, per novanta interminabili minuti.

…Giuliano Fiorini arpiona il pallone con il piede destro ma non lo stoppa. No. Giuliano Fiorini sa come si fa in quei casi. Il piede destro invita il pallone a passargli sotto le gambe. Un auto tunnel voluto che manda fuori tempo Bertozzi. Giuliano Fiorini si gira su stesso facendo perno proprio sul suo marcatore e si trova lì. A pochi metri dall’invalicabile Dal Bianco…

Al Vicenza basta un punto per salvarsi. E il catenaccio di quel pomeriggio, unito ai miracoli del suo portiere, eroe per un giorno, i tifosi della Lazio se lo ricorderanno bene. Per sempre. Lo Stadio è un inferno. I minuti passano e il fortino eretto dagli uomini guidati da Magni resiste. E resiste anche quando D’Elia espelle al sessantasettesimo il biancorosso Montani per doppia ammonizione. La Lazio è un toro ferito. Furiosa e poco razionale. Butta il cuore oltre l’ostacolo sospinta dai suoi tifosi che, minuto dopo minuto, vedono lo spettro della Serie C sempre più vicino. Sempre più grande. Il Campobasso pareggia a Messina, il Taranto vince con il Genoa. Alla Lazio serve una vittoria per arrivare a giocarsi la salvezza in uno spareggio a tre. Ma Lazio e Vicenza sono sullo zero a zero. La Lazio è in serie C e il Vicenza andrà allo spareggio. Fino all’ottantaduesimo. Quando Antonio Elia Acerbis, dalla sinistra, crossa un pallone in area di rigore. Angelo Adamo Gregucci salta di testa ma viene anticipato. Al limite dell’area, Lucchetti svirgola il pallone e lo consegna a Esposito che lo controlla e lo allarga a Gabriele Podavini. Il terzino di Brescia lascia partire un tiro sbilenco che finisce però sui piedi del numero undici biancoceleste, Giuliano Fiorini. Spalle alla porta, Fiorini controlla a seguire il pallone, si gira su se stesso e…

…c’è poco tempo per pensare in quei momenti. Giuliano Fiorini ha il pallone davanti a sé. Bertozzi si è girato su se stesso e sta per intervenire. Dal Bianco è pronto a coprirgli lo specchio. È una morra cinese calcistica dove vince chi ha più fame. Dove esulta chi ci mette il cuore. E il cuore di Giuliano Fiorini scende per un secondo dal petto e finisce nello scarpino destro. Solo per un istante. Quello più importante. Quello che cambia per sempre la storia di un giocatore, di un club e di un Popolo. Giuliano Fiorini si allunga in una spaccata sgraziata e decisiva. Anticipa Bertozzi e con la punta del piede destro colpisce il pallone che si insacca nell’angolino alla destra di Dal Bianco….

Subito dopo è solo catarsi. Lo Stadio Olimpico esplode in un boato innaturale. C’è chi sostiene che abbia sentito lo Stadio tremare, in quel momento.

…Giuliano Fiorini sorride, scavalca i cartelloni pubblicitari, evitando un fotografo davanti a sé e vola sotto la Nord, a raccoglierne l’abbraccio. A farsi ringraziare. Giuliano Fiorini viene sommerso dagli abbracci dei compagni. E’ stremato. Quando sta per tornare in campo, ha un sussulto. Si libera allora dalla morsa dei compagni, si rigira ancora verso la Nord, ed esulta di nuovo. Stavolta in modo rabbioso, con il pugno. È un’esultanza diversa, stavolta. Consapevole del gesto appena compiuto. È un gesto che sembra dire “Ce l’abbiamo fatta! Tutti insieme! Noi con voi!!

Il suo rientro in campo, abbracciato ad Acerbis, è lento. Lentissimo. Giuliano Fiorini guarda la Tribuna Monte Mario ed esulta con il braccio al cielo. Poi rientra sul prato verde. Felice, solitario e final. Indica la panchina dove sono i suoi compagni e il Mister Fascetti ed esulta anche in direzione loro. Con loro.

Mancano otto minuti ma la partita è mentalmente finita. Lo sanno tutti. La Lazio si andrà a giocare gli spareggi sul campo neutro del San Paolo di Napoli con Taranto e Campobasso.
Ma questa è un’altra storia.

…questa che avete appena letto invece è la storia di Giuliano Fiorini, la storia di una stagione pazzesca e la storia del goal che salvò la Lazio.

SS LAZIO 2017/18: IL PAGELLONE FINALE

Strakosha: la sua stagione è perfettamente incastrata tra il rigore parato a Dybala, i miracoli con l’Atalanta e le incertezze in alcuni momenti clou. Molto reattivo tra i pali peccato però che l’ultima volta che è uscito, c’aveva sedici anni ed era annato a un pub de Tirana co’ Berisha e Lorik Cana. RIMANDATO IN INIZIATIVA.

Vargic: credibile come er curriculum de Giuseppe Conte. BOCCIATO.

Guerrieri: je volevano dedica’ un servizio a “Chi l’ha visto?” ma pare nun esistano foto sue. RIMANDATO IN VISIBILITÀ.

Bastos: l’unico giocatore al mondo capace di passa’ dalla modalità Thuram a quella Diakite nel giro de pochi secondi. Il suo punto de forza è che almeno segna in maniera direttamente proporzionale ai goal che ce fa pija’. RIMANDATO IN COSTANZA E CONCENTRAZIONE.

Wallace: elegante come er pinocchietto d’estate. Efficace come la mano sudata quando te presenti a un colloquio de lavoro. Ma ha fatto anche delle cose buone. RIMANDATO IN ESTETICA E AFFIDABILITÀ.

De Vrij: difende, segna e gioca co’ continuità. Peccato pe’ ‘sto finale de stagione che fa molto Salvini pre-governo. A Roma, dice a Di Maio de sta tranquillo che va tutto bene mentre a Milano prepara l’alleanza co’ Berlusconi per le prossime elezioni. RIMANDATO A MILANO.

Caceres: arrivato a gennaio nella Capitale. Da ottobre in poi nasceranno tanti nuovi aquilotti che parleranno spagnolo. RIMANDATO IN MONOGAMIA.

LuizFelipe: se diploma a Salerno con il minimo dei voti ma è a Roma che trova la giusta dimensione. Tanta personalità e senso dell’anticipo e qualche, inevitabile, peccato de gioventù tipo quando te inculavi i pacchetti de Brooklyn alla Standa. PROMOSSO.

Radu: la sua miglior stagione da quando è alla Lazio. Appare ringiovanito de dieci anni come le donne che se tolgono le rughe co’ le applicazioni dell’IPhone. PROMOSSO.

Patric: nun se po’ nun voleje bene. RIMANDATO IN TECNICA DE BASE.

Basta: er poro Dusan comincia ad accusa’ un po’ troppo i segni dell’età che avanza. Un po’ come tu nonna quando a tombola je devi ripete all’orecchio i numeri estratti da chi tiene er tabellone. RIMANDATO A DIECI ANNI PRIMA.

Marusic: costante come le dichiarazioni de Di Maio nei confronti de Mattarella. RIMANDATO IN CORAGGIO.

Lukaku: spesso devastante a partita iniziata, vedi in Supercoppa, quando gioca titolare, entra in partita con la stessa rapidità con cui Di Maio e Salvini trovano un punto d’incontro per il Governo. RIMANDATO IN PROATTIVITÀ.

Lulic: Capitano, mio Capitano. L’unico giocatore imprevedibile per gli avversari e per i compagni de squadra. Solca il campo senza senso apparente ma fa sempre la cosa giusta pur non sapendo di volerla fare. L’unico uomo al mondo che, se lo schermo dell’iPhone je se mette in modalità orizzontale, nun deve inclina’ la testa pe’ legge bene. PROMOSSO.

Leiva: è come quando vai sempre al solito ristorante sulla Cassia e prendi sempre la specialità argentina della casa. Poi un giorno, all’improvviso, lo chef albanese cambia er menù e te propone un piatto brasiliano, che ha scoperto in un vecchio pub de Liverpool. Tu prima storci la bocca. Poi però dopo le prime due forchettate, nun ne poi fa’ più a meno. E cominci a ordina’ solo quello. Pe’ tutto l’anno. PROMOSSO.

Parolo: è quell’amico tuo silenzioso e con la faccia da bravo ragazzo che sta sempre in disparte ma quando nun esce er sabato sera, manca a tutta la comitiva. PROMOSSO.

Milinkovic-Savic: gioca una stagione con la stessa convinta strafottenza con cui Verdone mette er record al flipper in “Troppo Forte”. Talmente coatto che j’avrei voluto vede’ gioca’ ‘na partita con gli occhiali da sole. PROMOSSO.

Murgia: er go’ ad agosto in Supercoppa è come quando imbocchi in discoteca e, pronti via, rimedi subito er numero de telefono della guardarobiera. Il resto della stagione è quando entri in pista e scopri che sei finito in una serata over70. RIMANDATO IN PERSONALITÀ.

Di Gennaro: purtroppo per la Lazio, non ripete la stagione strepitosa che lo portò a vince lo Scudetto con il Verona di Bagnoli, Pietro Fanna e Nanu Galderisi. Dà il suo meglio come commento tecnico durante le telecronache di Mediaset. BOCCIATO.

LuisAlberto: illumina il gioco della Lazio con la stessa pratica essenzialità della torcia dell’IPhone quando cerchi le chiavi della macchina che te so’ cascate pe’ terra de notte. Confeziona capolavori in serie ispirato come Leopardi di fronte all’ermo colle. PROMOSSO.

Anderson: i capelli e la tecnica di Vincenzo D’Amico. La cattiveria dell’orso Yoghi. Frenato da un brutto infortunio a inizio stagione, se accende a intermittenza come le lucette del Presepe. RIMANDATO IN CONVINZIONE E TIGNA.

Nani: s’è venuto a diverti’. BOCCIATO.

Caicedo: evidentemente quando Iglone Tare l’ha comprato, s’è dimenticato de fa’ la più classica delle domande: “Sì, le sponde, er gioco de squadra, er fisico, le sportellate. Bello tutto. Ma fa anche i goal?” RIMANDATO IN CONCRETEZZA.

Immobile: capocannoniere in Italia e in Europa e basterebbe questo per definire la grandezza della sua annata. Segna con la stessa continuità con cui er Pupone sbaglia i congiuntivi e vive una stagione esaltante come er finale de “Bomber”. PROMOSSO.

Inzaghi: la sua Lazio vince er primo trofeo della stagione contro la Juve e gioca a testa alta sempre. Contro tutto e tutti. Avversari e arbitri. Forse, se avesse abbassato ogni tanto la testa e coperto un po’ più er culo, la stagione avrebbe avuto un finale diverso. Ma nun bisogna dimentica’ da dove semo partiti e quante emozioni abbiamo provato. È stato un anno intenso. Un anno da Laziali. E a ‘sta squadra e a ‘sto Mister je se po’ solo di’ “Grazie!” PROMOSSO.

AVANTI LAZIO.

AVANTI LAZIALI.

IN SPIAGGIA.

PS: quella appena finita è stata una stagione intensa e mi piace pensare che queste pagelle siano state il giusto contorno anche per sdrammatizzare un contesto in cui spesso riversiamo troppe aspettative. Vi ringrazio per gli attestati di stima e i complimenti che mi hanno sempre spinto a fare del mio meglio e a presentarle con la giusta puntualità. Credo fermamente che uno scrittore o chi pretende di essere tale debba sempre rispettare i propri lettori. Io non so se ci sono riuscito. Ma di sicuro, ce l’ho messa tutta.

Con affetto

Alessandro Aquilino