LAZIO-SALISBURGO: LE MIE PAGELLE

Strakosha 6: incolpevole su entrambi i goal. Quando se trova Berisha sul dischetto, pensa che sia ‘no scherzo acchittato da Grigioni, er preparatore dei portieri. Quando capisce che nun è Etrit, però, è troppo tardi.

Luiz Felipe 7: ha fatto ‘a cresima un par de mesi fa ma c’ha er piglio agonistico de uno che gioca in Europa da quando se chiamava ancora Coppa UEFA.

De Vrij 7: una certezza. Come lo spaghetto ajo, ojo e peperoncino a mezzanotte in certe serate d’agosto.

Radu 6,5: le sue scivolate quando prende prima er pallone e poi l’avversario sotto la Tevere sono uno dei motivi per cui vale la pena venire allo Stadio.

Basta 6,5: serve a Lulic la palla del vantaggio laziale e provoca il rigore del pareggio. In pratica, se se faceva i cazzi sua, er primo tempo finiva zero a zero. Esce per sopraggiunti limiti d’età.

Parolo 7,5: quando segna de tacco e i compagni je chiedono come ha fatto, lui, memore delle partite a FIFA giocate in ritiro, risponde con il suo solito candore: “ah rega’, nun lo so…io ho spinto i tasti a caso!”

Leiva 7,5: impreziosisce il centrocampo della Lazio come gli alberghi messi a Parco della Vittoria quando giochi a Monopoli. Lo strappo e l’assist con cui costruisce er go’ de Immobile valgono da soli il prezzo del biglietto.

Milinkovic-Savic 6: se specchia un po’ troppo come Tony Manero prima de anna’ in discoteca.

Lulic 7,5: er go’ suo de piattone ormai andrebbe registrato alla SIAE. Gioca una partita mostruosa per grinta e agonismo e vaga per il campo seguendo la tattica Max Pezzali “Nord Sud Ovest Est”. E forse un altro Senad neanche c’è.

Luis Alberto 6,5: l’assist pe’ Parolo è perfetto come certi autogo’ de De Rossi.

Immobile 7: vole er go’ co’ la stessa fame chimica de quando te avventi alle due de notte sul frigorifero alla ricerca degli avanzi della cena della sera prima. Dopo il gol del 4-2 strattona Inzaghi urlandoje “Guarda che per il regalo tuo ho messo i soldi pure io, ma Senad nun m’ha fatto firma’ er bijetto!”

Anderson 7,5: parte da centrocampo, se beve mezza Red Bull e riporta la Lazio in vantaggio. Poi dicono che le bevande energetiche fanno male.

Patric 7: entra in partita co’ la foga de quello che imbocca in discoteca alle due de notte dopo esse annato in bianco pe’ tutta la sera.

Caicedo ng: entra giusto in tempo pe’ costringe er portiere avversario a para’ de capoccia.

Inzaghi 7,5: nel giorno del suo compleanno si regala una vittoria che riempie il cuore della gente Laziale. La doppia mossa Patric-Anderson cambia il match e permette di guardare con fiducia al ritorno in Austria. L’abbraccio-aggressione subita da Immobile dopo il quarto goal è il termometro di ciò che è lo spirito di questa Lazio. Una squadra più forte del suo Destino.

Lo Stadio 10: datemi uno Stadio di 40000 avvelenati come ieri e conquisteremo il mondo. Perché quando squadra e tifosi diventano un tutt’uno, i goal vengono da soli.

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LAZIO-BENEVENTO: LE MIE PAGELLE

Strakosha 6: sul go’ del Benevento parte in ritardo perché stava a pensa’ a chi ammolla’ er pupazzetto dei Ninja Turtles trovato nell’ovo de Pasqua che j’aveva regalato Manzini prima della partita.

De Vrij 7: professionista esemplare come Toninho Cerezo. Lui però anziché andare a letto presto la notte di Capodanno, guida la difesa con la solita classe e realizza il goal che porta la Lazio in vantaggio nonostante il suo futuro sia già scritto. E sia purtroppo altrove.

Luiz Felipe 7: “Poi ClauDio il Lotito disse: ‘Non è bene che De Vrij sia solo; dobbiamo fargli un aiuto che sia adatto a lui”. Allora Igli l’Albanese fece cadere un profondo sonno sul difensore olandese, che si addormentò; prese una delle costole di lui, e richiuse la carne al posto d’essa. Igli l’Albanese, con la costola che aveva tolto all’uomo, formò un ragazzo brasiliano e lo condusse al numero 3 biancoceleste. Che disse: “Questo, finalmente, è ossa delle mie ossa e carne della mia carne. Lui sarà chiamato Luiz Felipe Ramos perché imposterà l’azione come David Luiz e difenderà come Sergio Ramos”. – (Genesi 2:7,18,21-23)

Bastos 6,5: gioca un tempo e poi viene sacrificato come l’agnello a Pasqua.

Patric 6: sul goal del Benevento se fa’ incula’ da Lombardi come quando stai in fila al supermercato e fai passa’ la vecchietta che te stava a fa’ tenerezza co’ solo un litro de latte in mano e appena je dici “Prego, passi pure!”, chiama er marito che arriva co’ du’ carrelli pieni de roba. E tu resti lì, come ‘no stronzo.

Marusic 6: in fase de spinta, è lucido come un alcolizzato al quarto ammazzacaffè.

Luis Alberto 7: sempre nel vivo del gioco. Scucchiaia per Caicedo il pallone del pareggio e poi chiede a Nani di poter calciare il rigore per dedicare il goal ad un amico appena scomparso. Maestro in campo e fuori.

Leiva 7,5: ogni volta che qualcuno pronuncia la frase “eh, ma non è un regista!” un intenditore di calcio, da qualche parte del mondo, muore. Da qualche tempo, il Lucas Maximo, oltre a dirigere con maestria la manovra biancoceleste, si diverte a produrre anche gli effetti speciali. Come la pennellata magistrale per il goal del 5 a 2.

Parolo 6: dopo er tour de force in Nazionale, sta spremuto come un limone su ‘na frittura de calamari.

Anderson 6,5: l’assist per Immobile è sublime come il formaggio fuso sui nachos. La rabona per Patric è bella ma inutile come quelle stronzate che vende “Tiger”. Purtroppo però se accende a intermittenza come le lucine sull’albero de Natale. Peccato che ormai stamo a Pasqua. Ma tutto questo, Felipe, nun lo sa.

Immobile 7,5: quando torna dalla Nazionale è come la donna sotto ciclo: je rode sempre er culo. Però stavolta è bravo e lucido nel trasformare gli assist di Anderson e Brignoli in goal e staccare di nuovo Icardi nella classifica dei marcatori.

Caicedo 7: grezzo, perentorio ed efficace come la pacca sul culo a quella davanti a te durante er trenino de Capodanno mentre tutto cantano “il mio amico Charlie Brown”.

Nani 6: prova a fa’ go’ in tutti i modi anche arruffianandose Brignoli co’ frasi del tipo “Aho, sei un grande! lo sai che t’avevo schierato al Fantacalcio quando segnasti al Milan?!?”

Milinkovic-Savic 6: entra co’ l’entusiasmo der marito che accompagna la moje da Zara sotto saldi.

Inzaghi 6,5: cambia in corsa il modulo ed è bravo a pescare il jolly Caicedo. La Lazio soffre un po’ troppo ma poi si scatena e porta a casa tre punti importanti in prospettiva Champions e che fanno morale in previsione del match di giovedì con il Salisburgo.

Special guest:

Brignoli 8: quando batte le rimesse dal fondo, perde talmente tanto tempo, che la diretta su Skygo della partita va più avanti rispetto alla partita stessa. Ma il karma è in agguato e dopo essere stato trafitto da Caicedo prima e da De Vrij dopo, regala in modo maldestro a Immobile la palla del 4-2. Perché nel calcio, come insegna Oronzo Canà, passare da coglione a eroe è un attimo. Solo che lui fa il percorso al contrario. Fenomeno vero.

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GLI EFFETTI DELLA VIOLAZIONE DELLA PRIVACY DI FACEBOOK SULLA GENTE DE ROMA (Le avventure di Carlo e Alice, vol. 1)

Carlo guardava il telegiornale mentre Alice finiva di preparare il pollo con i peperoni che aveva preparato per cena ed era più preoccupato del solito.

“Amo’, hai visto che è successo a Facebook?”

Distratta da altro, soprattutto da Andy, il loro gatto certosino che cercava di capire cosa stesse preparando la sua padrona di così buono e profumato, Alice rispose a modo suo.

“No, lo sai che io coi social nun ce vojo ave’ niente a che fa’…perché che è successo?”

“Pare che Zuckerberg se sia venduto i dati personali de noi iscritti e ora è scoppiato un casino! Ma te pare giusto che qualcuno deve sape’ tutti cazzi mia!?!?”

“Ma sei serio?”

Alice, distratta da Andy che nel mentre era stato raggiunto da Capp la certosina femmina e avevano cominciato a miagolare insieme per ottenere almeno un pezzetto di pollo, si scagliò subito contro il marito. Che a sessant’anni suonati viaggiava su una deriva social senza ritorno.

“Cioè, tu su quel cazzo de Facebook scrivi tutto quello che fai…fai le foto ai piatti de pasta che te magni a pranzo…se annamo a cena fori scrivi in che ristorante stai…se te rode er culo lo scrivi…se sei felice lo scrivi…se sei indignato metti i like e condividi…credi che scrive “amen” sotto a un post serva a qualcosa…t’ho beccato pure una volta che te stavi a fa’ un selfie ar cesso…e mo’ te stai a preoccupa’ se qualcuno sa che cazzo fai nella vita quando sei tu er primo che metti in piazza i cazzi tua?!?”

Di fronte a quella reazione così veemente e inaspettata, Carlo rimase in silenzio. Incapace di proferire una qualsiasi risposta. Un silenzio colpevole centrato in pieno da quella donna che era ormai moglie solo per lo Stato. E nulla più.

“E ora vie’ a magna’…che la cena è pronta…”

Carlo si alzò dal divano in silenzio. Si sedette a tavola. E prima di augurare buon appettito a sua moglie e iniziare a mangiare, prese lo smartphone. Scattò una foto a quel piatto così ben riuscito. Poi aprì Facebook. Caricò la foto e scrisse:

“Stasera pollo coi peperoni. E mo’, caro Zuckerberg, spiame pure questo!”

E si taggò a casa sua. Co’ tanto de indirizzo.

Mentre Alice cercava nello sguardo dei gatti, adoranti e affamati vicino al tavolo, l’unico barlume di umanità rimasto in quella casa.

IL VOLO DI SIMONE

Diciamocelo.

Chi, indossando i panni del tifoso più passionale, non si è mai lasciato andare ad esultanze che sono poi andate oltre, trasformando involontariamente un gesto catartico in una gag comica? Personalmente, di mie esultanze così, in tanti anni di stadio, ne ricordo un bel po’. Sono inciampato nei seggiolini. Ho versato addosso al mio vicino la birra che stavo bevendo. Mi sono volati gli occhiali. Mi sono ritrovato dieci file più su o dieci file più giù. Insomma, spesso l’esultanza si è trasformata in un momento di cui ridere. Magari cullati dal ricordo di una vittoria giunta proprio per quel goal.

E allora che bello vedere un Mister che esce dai confini della professionalità e dell’aplomb e dopo la rete che chiude il discorso qualificazione si lascia andare ad una corsa sul tartan bagnato che si trasforma in un ruzzolone senza precedenti.

Che bello vedere un Mister che simula inconsapevole il gesto del tiro in porta per partecipare a modo suo al goal del suo bomber.

Che bello vedere un Mister correre sulla linea del fallo laterale per accompagnare in porta il suo attaccante partito sul filo del fuorigioco.

Che bello vedere un Mister esultare come un tifoso.

Che bello sapere che da due anni la Lazio è allenata da un uomo che fa della Lazialità la sua arma in più.

Che bello vedere Simone Inzaghi allenare la Lazio.

Un uomo che se cade proprio mentre sta per cominciare a volare, si rialza come se non fosse successo nulla. Anzi, si rialza più forte di prima.

Proprio come la Lazio.

Proprio come i Laziali.

DINAMO KIEV-LAZIO: LE MIE PAGELLE

Strakosha ng: talmente inoperoso che a ‘n certo punto Lotito ha chiamato Tare imbufalito e j’ha detto: “Ah Igli, ma che cazzo se lo semo portati a fa’ Strakosha? Questi nun hanno mai preso lo specchio! A sapello lo lasciavamo a Formello e risparmiavamo du’ lire!”

De Vrij 7: la professionalità nun la compri al supermercato. Pur giocando da svincolato in casa e nonostante i followers persi su Instagram dopo l’annuncio del suo non rinnovo (i veri drammi della vita), gioca, segna, esulta e viene abbracciato come se fosse uno de quei giovinotti che er nove gennaio de centodiciotto anni fa stavano su ‘na panchina de Piazza della Libertà.

Luiz Felipe 7: acciacca subito un avversario pe’ mostraje che aria tira e poi sbrocca all’arbitro quando lo ammonisce urlandoje: “Ma nun j’ho fatto niente, è ancora vivo!”

Radu 7: “travolto da un insolito portiere nel verde campo di Kiev” (semicit)

Patric 6: quando se rompe un vetro der palazzo presidenziale de Putin a Mosca, i servizi segreti russi pensano subito a un attentato che possa scatena’ la terza guerra mondiale. E invece no. Era solo er pallone calciato da Patric a porta vota che s’è fatto 860 chilometri.

Lulic 6,5: generoso come tu’ nonna che lasciava cinquemila lire nel bussolotto delle offerte a messa la domenica.

Parolo 6,5: imprescindibile come l’ammazzacaffè dopo pranzo. Come la grattata sui cojoni dopo che er romanista de turno t’ha detto “tanto stasera vincete facile”.

Leiva 8: monumentale. Quando prende palla lui, la tv passa in automatico da Sky a Fox Sport, entra in modalità Premier League e Marianella inizia ad ave’ ‘na serie de orgasmi multipli come un tredicenne per la prima volta davanti alle tipe di Brazzers. Legge le azioni con la stessa efficacia de Bergoglio quando legge l’Angelus la domenica mattina e realizza il goal che spiana la strada alla Lazio verso la qualificazione. Un gigante vero.

Luis Alberto 7: come diceva Clint Eastwood in “Per un pugno di assist”: “quando il calcio d’angolo incontra l’uomo con i capelli tinti di biondo, il calcio d’angolo diventa una chiara occasione da goal”.

F. Anderson 7: quando parte palla ar piede pare Beep Beep inseguito dal coyote. Quando entra in area e deve decide che fa, invece, fa la figura der coyote che insegue Beep Beep.

Immobile 6: quando viene sostituito, er Dio del Goal je mette ‘na mano sulla spalla e je fa: “Ciru’, perdoname, ma dopo quello che t’ho fatto fa’ domenica, oggi me so’ preso un giorno de ferie. Se rivedemo domenica…”

Lukaku 6: esistono tre fratelli Lukaku. Uno gioca a Manchester. E due nella Lazio. Uno gioca dal primo minuto e sbaja sempre partita e l’altro che entra a partita in corso e fa sempre “Ciaone” al suo diretto avversario.

Marusic 6: entra al posto de Patric e quantomeno non spedisce palloni sulla Luna.

Caicedo sv: entra solo pe’ chiedese “ma quindi esiste davvero Kiev? Ma nun era un quartiere de Verona?”

Inzaghi 8: quando cade mentre esulta sul secondo goal è l’unica volta in questa stagione in cui un Laziale cade e non ci sono gli estremi per il calcio di rigore. Ad una Lazio perfetta, lui ci aggiunge quella spruzzata di Lazialità che porta il fomento a livelli Top (o Daje, se sete de Roma Sud).

Farris 10: qualsiasi persona al mondo, de fronte al volo de Inzaghi, sarebbe scoppiato a ride. Lui invece aspetta che er Mister finisca la piroetta, se rialzi e lo attende a braccia aperte pe’ continua’ a esulta’ co’ lui. Chapeau.

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LA MIA LAZIO. LA MIA VOCE #3

La ruota gira. E adesso gira in direzione ostinata e contraria. E così capita di uscire dalla Coppa Italia senza aver subito un tiro in porta. Capita di perdere al 92esimo per colpa dell’unico tiro preso in porta. E capita di prendere il palo all’ultimo secondo dell’ultimo minuto di recupero. Capita. Il calcio, come la vita, è spesso deciso da momenti. Come raccontava Woody Allen in quel capolavoro che è “Match point”, la differenza la fa la pallina da tennis che prendendo il nastro della rete, cade in una parte o in un’altra del campo. Ecco. La Lazio adesso è una squadra che fa fatica ad uscire dal pantano della cattiva sorte in cui è entrata. Certo, c’è anche dell’altro, ovviamente. Una forma fisica che non aiuta ad arrivare sulla palla appena quel centimetro prima dell’avversario e che ci permetterebbe di trasformare un contrasto in una ripartenza. Qualche scelta più o meno azzeccata (ma con il senno di poi siamo tutti Mourinho). Insomma. Adesso, sulla Lazio, se decide di piovere, diluvia. Ma al netto di tutto ciò, la squadra c’è ed è viva. Perché il Milan è stato dominato. La Juve è stata limitata. E con la Dinamo, quando la squadra si è accesa, il match è cambiato. Sí, forse è un po’ stanca. Ma a dargli una mano, ora tocca a noi. Che di Lazio, di questa Lazio, non ci stanchiamo mai.

LAZIO-MILAN: BENVENUTI ALL’INFERNO

Quello di seconda media è stato un anno di merda. A metà tra l’inferno della prima e il paradiso della terza. Un purgatorio scolastico di cui conservo indelebile un ricordo che è stato incipit di un odio. Anche se ancora non potevo saperlo. Era l’anno scolastico 1987/88, avevo dodici anni, la Lazio era al suo ultimo anno di serie B e il Milan si apprestava a diventare la squadra più forte del mondo. In un tema di italiano a sfondo fantasioso, inventai la storia di un ragazzino tifoso Laziale che, alla vigilia di un Lazio-Milan futuro, per cercare di sconfiggere gli invincibili avversari, decise di fare ricorso ad aiuti sovrannaturali. Drogato dei Dylan Dog letti avidamente con le mani sudate e l’acquolina in bocca, feci organizzare al piccolo protagonista una seduta spiritica in cui convocava gli spiriti di Tommaso Maestrelli e Luciano Re Cecconi per chiedere il loro aiuto. E in una partita/battaglia che viaggiava in parallelo tra il prato dell’Olimpico e il cielo, dove angeli e demoni, molti anni prima di Dan Brown, si scontravano in un duello senza esclusione di colpi, la Lazio riusciva ad avere la meglio sul Milan rendendo felice il piccolo protagonista. Soddisfatto per aver contribuito a modo suo alla vittoria.

A quel foglio protocollo scritto in malo modo dalla mia calligrafia da ex-mancino, affidai ciò che sarebbe stato il mio più grande odio sportivo nei successivi trent’anni.

La Lazio salì in A e sbancò subito San Siro grazie ad un autogoal maldestro di Paolo Maldini. Da lì in poi, a San Siro, il nulla. Nemmeno quando eravamo la squadra più forte del mondo.

Venne però una Coppa Italia. Il primo trofeo dopo tanti anni. Vinta proprio contro il Milan grazie a un goal di un ragazzo romano e Laziale che indossava la maglia numero 13. Venne però uno Scudetto rubato sul fil di lana proprio da quel Milan. Vennero poche gioie e molte delusioni. Che misero il Milan sul mio personale podio delle squadre più odiate. E quello che è successo ieri aggiunge un’altra piccola tacca a questa personale biografia. Una partita infinita. Il gelo e la neve di questi giorni. Una squadra che in 220 minuti ha pensato solamente ad arrivare ai rigori. E poi la lotteria finale. Quella in cui ti tradiscono il tuo giocatore più forte e quello con maggior esperienza. E quella in cui un ragazzo romano e Laziale con addosso la maglia numero 13 ti spedisce all’inferno.

Perché se ci piace credere che Dio è Laziale, per forza di cose il suo avversario principale sarà la squadra del Diavolo.

E se è pur vero che il Diavolo fa le pentole.

È altrettanto vero che la Lazio ancora non riesce a fare i coperchi.

Almeno fino a quando un altro dodicenne come il me di tanti anni fa non deciderà di organizzare un’altra seduta spiritica.

SERGEJ MILINKOVIC-SAVIC: UNA BIOGRAFIA NON AUTORIZZATA

Sergej nasce in Serbia ventitré anni fa ed è er fijo segreto de Ivan Drago e de Brigitte Nielsen, concepito sul set de “Rocky IV” e partorito solo una decina de anni dopo, al termine de ‘na lunga gestazione.

Quando viene ar mondo, infatti, è alto già un metro e cinquanta e viene subito convocato pe’ ‘na partita de spareggio tra la Serbia e la Croazia, categoria Allievi Terminator.

A scuola, nun è bravissimo: sempre seduto all’ultimo banco, è il re dello “schiaffo der soldato” e de “nun se move ‘na foja!”, giochi nei quali sviluppa le sue future abilità di provocatore e di mostratore de diti medi occulti a tutti i compagni de classe. Soprattutto a quelli che nun je passano i compiti.

Quando sbarca a Fiumicino se presenta così a Tare: “Io Sergej”. E il buon Igli, memore delle gare de verbi che faceva a Tirana, je risponde: “…Tu sergesti, egli sergebbe, noi sergemmo, voi sergeste, essi sergerono!”

Fu così che nacque subito un grande feeling che fece sì che Sergej preferì la Lazio alla Fiorentina.

Accolto dal solito mantra del laziale 2.0, “se era bono, te pare ce lo davano a noi?” (lo stesso usato, tra l’altro, per De Vrij, Leiva e Parolo), er buon Sergej co’ er poro Pioli se specializza nella spizzata de palloni su rinvio der portiere e nulla più, nun trovando un’esatta collocazione in campo.

Sarà grazie a Simone Inzaghi, uno che fa colazione co’ Pane e Bielsa, pranza con Spaghetti alla Mourinho e cena co’ Scaloppine alla Sven Goran, che er buon Sergej se piazzerà ar centro der campo. E nun ne uscirà più.

Perché Sergej c’ha er nome ar passato ma è il primo giocatore proiettato nel futuro pe’ quanto è moderno.

Perché Sergej c’ha più ruoli che cognomi.

Perché er fratello che gioca in porta, nun è er fratello, ma è lui che sotto mentite spoje se diverte pure a mettese in porta.

Perché Sergej mena quando deve mena’.

Segna quando deve segna’.

Dribbla quando deve dribbla’

Provoca quando deve provoca’.

Sempre co’ quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così, che abbiamo noi che andiamo a tifare la Lazio.

La faccia de chi nun c’ha paura de niente.

La faccia da Laziale fracico.

SASSUOLO-LAZIO: LE MIE PAGELLE

Strakosha 6,5: su Adjapong se fa’ trova’ pronto e reattivo come quando la trombamica te messaggia alle undici de sera.

Wallace 6: c’ha er senso della posizione de ‘n anziano davanti a un cantiere.

Luiz Felipe 6,5: come cantava tanti anni Max Pezzali “Tutti mi dicevano De Vrij, ma spunterà Luiz Felipe prima o poi…” Un altro po’ de partite così e lo cominceremo a chiama’ pe’ cognome: Ramos. Che tanto male nun je sta.

Radu 6,5: viene preso de mira dai giocatori del Sassuolo. Prima Berardi, poi Babacar e poi ancora Berardi lo stendono. Ma lui se rialza sempre perché Manzini dalla panchina je urla “Non fa male! Non fa male!” manco fosse Rocky.

Lukaku 6: incisivo come quelli che taggano novanta persone in un post e pijano solo tre like.

Marusic 6: sulla destra scende come la Goggia a PyeongChang. Ma su Rogerio alza il gomito come un italiano all’Oktoberfest.

Leiva 6,5: il ragazzo venuto dal Brasile andrebbe clonato per quanto è imprescindibile per questa squadra. Talmente nazista nei contrasti e nel modo di stare in campo che bisognerebbe dedicaje ‘na canzone: “La Leiva calcistica della classe 88”.

Murgia 6,5: cresciuto a viale dei Paroli, quella zona de Roma dove vivono tutti i ragazzi con la faccia pulita che amano recupera’ palloni in mezzo ar campo, il buon Alessandro risponde presente al turnover de Inzaghi. E se procura pure er rigore del raddoppio.

Milinkovic-Savic 8: lui sta alla Lazio come Hulk sta agli Avengers, come La Cosa ai Fantastici 4. Sul primo goal pennella come Giotto. Nell’azione del rigore sembra Lebron James su un campo de minibasket. Sul terzo pare Bud Spencer quando sbucava alle spalle dei cattivoni e li faceva fori co un par de cazzotti in testa. Devastante. Immarcabile. Superiore.

Parolo e Lulic 6,5: entrano a giochi fatti e se mettono a cerca’ su Tripadvisor un localino a Reggio dove anna’ a fa’ l’aperitivo.

Anderson 7,5: come direbbe Ricciotto, il fedele servitore der Marchese del Grillo: “S’è svejatoooo!” Definitivamente?

Immobile 7: capitano a sorpresa, onora la fascia con l’ennesimo goal. Se se chiamasse “Cheero Motionless” starebbe sulle prime pagine dei giornali sportivi de tutto er mondo.

Inzaghi 8: il Mister stravolge la squadra e punta al modulo con il seiottavista, ossia il doppio trequartista, e ha di nuovo ragione lui. Fa sentire tutti importanti e i ragazzi lo seguono. Ennesima perla tecnico-tattica e partita archiviata in mezz’ora. E ora testa e cuore che puntano dritti a mercoledì.

Special Guest:

Di Francesco 10: se fa prende a pallate da Gattuso prima ancora che inizi a nevica’. Fenomeno (atmosferico). Eusebio non mollare.

AVANTI LAZIO

AVANTI LAZIALI

LA MIA LAZIO. LA MIA VOCE #2

Lazio-Steaua Bucarest è una partita di quelle che riconciliano con il calcio e con il tifo.

Perché c’è tutto. Tutto. Una rimonta fantastica. La tripletta del bomber. Il ritorno esplosivo di uno degli idoli della tifoseria. Una curva bella, ironica come solo quella Laziale sa essere. E per quanto mi riguarda, è stata l’occasione per convincere un mio caro amico a tornare allo Stadio e incontrare due nostri vecchi amici venuti apposta da Firenze per sostenere la squadra e spingerla alla rimonta.

Il paradosso, però, è che questo Lazio-Steaua, a detta di molti, non si sarebbe dovuto giocare. O quantomeno la Lazio avrebbe dovuto chiudere la pratica all’andata. E allora giù le critiche a Inzaghi per le scelte fatte. E a tutti i protagonisti rei di non aver chiuso subito il discorso qualificazione. Avremmo avuto così un ritorno inutile. Un turnover molto ampio. Una partita forse brutta. Chi lo sa. Fatto sta che non ci sarebbe stato tutto quanto, bellissimo, vissuto giovedì. Questo per dire che il Calcio ha le sue regole che la ragione non conosce. E che a fronte di una partita mal gestita ci potrà sempre essere la partita della redenzione. Quella che fa riscoccare una scintilla. Quella che riscalda, pur nel gelo e nell’umidità di un febbraio fin troppo rigido.

E allora viva il paradosso. Lo stesso paradosso che porta molti tifosi a chiedere alla società investimenti sostanziosi per andare a giocare in Europa. Per poi non andare a vedere la propria squadra giocare in Europa. In modo divino.

In modo speciale.

In modo Laziale.